sabato 29 dicembre 2007

GIRO D'ITALIA

Una mattina di primavera
partii per bordighera
ma alla fine del mese
mi spostai a termini imerese
e incominciò così il mio viaggio lungo il bel paese.

E da quel momento… vageggio per viareggio... e cazzeggio per correggio e vado e vengo...e salò e scendei...e mi inerpico per serpico...me ne resto tra le lenzuola se mi trovo a fiorenzuola...ma se mi sposto a sovicille allor son tutte scintille... ad arzachena ballo la macarena… a cantagallo già mi spunta qualche callo...ad altopascio mi scompiscio... a quarrata mi vien da far una pisciata... a mondragone ho da far un cacatone... mi ubriaco se passo pe' subiaco... me ne vo contromano quando guido a calenzano... faccio un bel bagnone ogni volta che devio per pizzighetone… me ne sto seregno e muggiò muggiò mentre pascolo per orgosolo... assago una gorgonzola mentre scorrazzo per imola... mi fa male il canino quando sosto a portofino… e mi batte forte il cuore quando mi fermo a salsomaggiore… mi scolo un botticino di vino ogni volta che parcheggio a luino… e ci metto pure una scorzè di limone se capito a corleone

Ma un bel giorno… ad amantea conobbi una riccia… così alta che mi serviva la scalea… quando la vidi sentì uno squillace di tromba… quant’era bella!… aveva laterza, il naso di gesso e un cugino, cirò, molto noto, camminava di belpasso, aveva uno sguardo che gela… la madre faceva un sacco di capizzi… allora le dissi… patti chiari e concordia lunga… sennò mi prendono i nervi, lei le busca, si fa un gran chiasso, ti metto in un cantù e si finisce a carte bollate

…ma poi finì l’amore
mi dolse molto il crevalcore
le regalai anche delle tende
chissà quando me le rende?
e così ripresi il viaggio
da un albergo di casteggio

da quel dì… a camaiore passo sempre belle ore... invece a cogne incappo sempre e solo in rogne… chiamo gianni se mi trovo a chianni...ma preferisco lorenzana dove mi incontro con adriana... a matera ci passo solo quando è sera… a chivasso mi sconquasso… a montescaglioso faccio il dispettoso… a predappio mi vien voglia di mettere a qualcuno un cappio… divento capalbio, cavezzo e frontone se sto più di due minuti a gorgoglione… non vado mai ad orbetello dove mi sta antipatico anche il bidello… e nemmeno a gradisca d'isonzo dove conosco solo uno stronzo… evito venafro perché lì mi prude il mafro… e non parliamo di mulazzo dove ho passato una gran giornata del cazzo... ma per farmi passare il quarto me ne vado per pisciotta abbracciato alla cucinotta... se passo per pieccioli mi vien da prendere a calci i piccioli... mi vien da far un rutino e mi sento uno svampito se mi perdo per melito... mi sento un po’ ermafrodita se passeggio per pescosannita... rivive in me l'eroe dei due mondi a guardia sanframondi... a pietralcina mi sembra di stare in cina...e a puglianello mi riparo sotto un ombrello...ad arcidosso non so su chi star addosso... ma poi mi viene una gran fame che mangerei anche un bovino al deliceto nel miglior ristorante di san giovanni in persiceto… però così divento tanto grassano da non entrare più nemmeno a saviano… allora è meglio un capaccio di albanella… che mi fa venir la baricella… e allora prendo la medicina fatta con l’erba di palestrina

…che misero che sono…
da anni vo ciarlando per l’Italia di girare…
e invece da casa non mi son mosso…
del paese lo zibello son diventato…
mamma me lo diceva di non dire le bucine
ma a scansano di equivoci …
devo dire che comunque sono belgioso
e a tutti raccomando…
abbiate brianza!!!

br1

lunedì 26 novembre 2007

EBANO




ebano

Liberamente tratto da Un anno senza Janet di Luca Musella, Ed. Nonsoloparole

Inserto tratto da Gomorra di Roberto Saviano Ed. Mondatori
Inserti tratti da Il Mattino di Napoli Cronaca - Taccuino
Inserto finale tratto da Medicina Democratica Sanità Storia di Genet
Immagini Archivio del Film Muto



TRACCIA 1 6.30min in ingresso



Il tempo è incerto questa sera a via Ghisleri. Forse piove.
Il gruppo accorda gli strumenti. Suonano musica popolare.
Chitarra battente, chitarra arpeggiante, la fisarmonica, la tromba, diverse tammorre la voce femminile, il leader del gruppo. Ai piedi del palco, i bottari, facce di quartiere.
Il cielo scurisce ma continua ad arrivare gente e tra poco inizierà lo spettacolo.
Il palco è illuminato dalla solita filiera di fari colorati e da cornice fanno tre palazzoni grigi con molte verande e antenne paraboliche. Nello spiazzo, macchine parcheggiate, alcune bruciate. Motorini sparsi, tutti fiammeggianti e metallizzati.

TRACCIA 2 inizio sottotono, da sfondo alla lettura
All’interno del palazzo da sfondo. Terzo piano, un pianerottolo qualunque, un alloggio come gli altri. Tre camere semivuote. Quelli della paranza stanno ancora avanti allo schermo; fumano, annusano, bevono. Oggi è il giorno e devono “trovare il coraggio”.
Poi cominciano a vestirsi. Pantaloni di pelle o jeans, magliette, giubottoni neri per nascondere il ferro, scarpe da ginnastica, caschi integrali.
E’ il loro lavoro.


La gente arriva, si comincia con una Tarantella del Gargano, poi subito la Tammurriata Nera, per scaldare gli animi. Le ragazze scendono tra il pubblico e non hanno difficoltà a trovare qualche partner che insegua i loro passi nelle danze popolari.
Il brano inizia lento, un lamento, chitarra arpeggiante e voce, poi sale e entrano gli strumenti. La chitarra battente e timidamente i tamburi, poi la fisarmonica. Cresce e le ragazze aumentano la velocità dei giri, poi ancora.


L’obiettivo è ancora dietro al banco. Negozio TIM. Il padrone è diventato suo socio.
Sposi da quattro mesi. Otto ore al negozio, poi in un call center, ma alla fine un premio, il ritorno a casa. Il Paradiso, la Fortuna nell’inferno del “Rione Terzo Mondo”, 70 metri quadrati di delicatissima e dolce felicità, per poche ore è vero, ma tanto basta. Solo qualche parente stretto o amico che non sarà invidioso può entrare nel regno.
E un giorno arriverà il regalo che attendono da sempre il loro Angelo.
Questa sera aspetta solo di chiudere. A casa ci sono i ragazzi con cui è cresciuto, anche loro con le famiglie.
Ceneranno insieme, poi qualcuno aprirà una bottiglia di spumante. I bambini faranno rumore e, se si affacceranno alla veranda potranno vedere il concerto.


Polizia da tutte le parti.
Il ritmo cresce e adesso suonano tutti gli strumenti in orchestra. Alla voce femminile fa da controcanto il coro, quando tacciono è il tempo della tromba. La gente smania. Il ritmo è un’onda che sale su dai piedi.
STOP: silenzio.
Si ferma all’improvviso. Quelli più avanti possono capire, gli altri no.
Il direttore dei bottari si allontana, il coro lo guarda fisso. Pronti.
Silenzio. Tempo sospeso.
Temporale in arrivo.
Il ragazzo allarga le braccia e fissa i suoi percussionisti che lo guardano di rimando.
Salta. Cade, sbatte le braccia, e riprende la musica al ritmo delle botti e delle tianelle.
Adesso è fortissimo, con la potenza e la velocità dei bassi… le botti donano alla tamurriata una gravità, la pesantezza e il senso del dramma.
I ragazzi percuotono folli, in trance; prima con il destro poi col sinistro, il direttore li incita mimando il gesto di chi non sente bene.
Si riprende l’armonia degli strumenti, tutti.


Escono. Sono quattro. Hanno due enormi scooter, di quelli che se li vedi ti scansi perché fanno paura. Neri e cromati. I due dietro sono armati. Partono velocissimi, investendo la gente sotto il palco.
Polizia dappertutto. Le botti suonano ancora più forte, per coprire il rumore di quelle moto o perché qualcuno ha capito e rende col suono il senso del dramma che si racconta sul palco e che si consumerà -come al solito anche oggi-; periferia di Napoli.
“Figli di zoccola….” Poi abbassa lo sguardo sulla botte grande e riprende a percuotere ma con più violenza, con rabbia.

Tre quattro colpi, l’ interruzione di frazioni di minuto poi di nuovo, altri tre quattro colpi e poi via. E’ pesantissimo, veloce, tremendo e affascinante e tutto allo stesso momento e adesso non puoi proprio stare fermo. Le ballerine danzano veloci, la voce racconta la solita storia della ragazza che seduce il ‘mmericano E lievt a pisotl down, lievt a pistol down che mò vene a Big Mama, lievt a psitol down.
Il gruppo segue il coro e il coro segue il ragazzo magro e attentissimo che ha in mano la musica.
Salta, vibra teso come una sartia nel mare in tempesta, smania, poi un salto a piedi uniti apre le mani, salta di nuovo, cade, STOP.
Finisce tutto. Silenzio Stop. E’ finito il brano.
Applausi, fischi, bottiglie che volano, vetri rotti sull’asfalto. Il pubblico approva.


L’obiettivo è al banco occupato nelle ultime cose. I numeri da ricaricare, il registratore da chiudere, i registri da compilare, poi spegnere computer e luci, chiudere bene e prima telefonare a Lei per sapere il gusto del gelato che dovrà comprare poi portare a casa.

Buio e silenzio in strada.
Il gruppo è fermo, le luci sono basse. Aspetta.
Poi una ragazza comincia a girare come posseduta da un Demone. E’ una villanella, è stata morsa dal ragno, ha il veleno più seducente e femminile nel sangue.
E’ vestita di nero con una lunga gonna aperta. La musica la trasforma, rende affilato il corpo, tonde le anche aperti e liberi i seni. I capelli le scivolano sulla fronte, in bocca, poi tornano dietro. E tutto è in penombra, lentissimo, quieto.
Il leader, anziano e famoso, si avvicina, come medico e scruta la ragazza, che intanto è caduta, la studia e la incita con la tammorra a sonagliera, lei smania da terra. Quelli dietro, come al solito non vedono niente.
Arrivano i motorscooter silenziosi come ombre, agili e veloci “planano”, aspettano alla guida col motore acceso, si guardano attorno, i due dietro camminano senza produrre rumore, entrano nel locale; negozio TIM.


Sale il ritmo mentre la ragazza inizia a contorcersi. E’ avvelenata e deve fare uscire le tossine attraverso il sudore. I contadini suoi vicini sono accorsi alla casa della tarantolata e suonano, suonano, suonano anche per tutta la notte per far ballare la ragazza. Lei si dimena come in preda al Diavolo, e mostra così le sue bellezze ai paesani. Non potrebbe in uno stato di normalità, ma in fondo questo è un messaggio da giovane alla carne giovane: “Chi entrerà nelle mie grazie entrerà nel mio corpo segreto”.
La tarantolata, ha licenza di fare cose che altre non fanno.

La ragazza si alza ha uno scialle rosso e attrae a sé il musicista.
La musica sale, entrano gli strumenti; la chitarra battente al massimo, le percussioni, le voci che raccontano in un dialetto arcaico con vaghe mescolanze mediorentali…
Il capocoro è attentissimo e pronto, i bottari guardano il direttore che guarda i bottari.
Quindi salta ed entrano le percussioni.


L’obiettivo non ha neanche il tempo di dire che è chiuso che vede un lampo e sente, con stupore più che con rabbia o dolore, un corpo estraneo entrare veloce nel petto.
La rabbia arriva alla seconda esplosione. Lampo, luce, pugno pungente che trapassa il petto e un urlo furioso, acutissimo. Poi la mossa di avventarsi contro quelli sciacalli, ma ritorna lo stupore quando sente che il corpo non risponde.
Poi è tutta la solitudine e tutta l’angoscia che mai aveva provato quando ritira dal petto la mano inzuppata del suo sangue. Allora alza lo sguardo che adesso è incredulo, chiede a loro spiegazione, aiuto.
Riceve altri colpi di pistola.
Cade supino. Il cuore batte acuto e punge come le tianelle dei bottari, poi profondo e cupo come la botte grande. Irregolare. Quattro colpi, pausa, ancora qualche colpo che scuote il suo corpo, la terra, gli animali e la natura delle cose, tutti i Santi e le Madonne, questo Dio che deve pur vedere che sta accadendo…

Quattro colpi rabbiosi e violenti una pausa, seguendo i gesti del direttore del coro e riprende.
Quattro colpi forti una lunga pausa dove è tutto nero, poi gli occhi riescono ancora a vedere la chiavetta che dondola appesa alla chiavetta della cassa; l’ultima immagine.
Nero.
Ancora colpi, ma ormai l’obbiettivo non li sente più.

Hanno il fiatone, come se avessero corso. Gli vanno vicino e continuano a sparare, -gratis- come quelli dei film americani, tenendo la pistola con due mani.
La ragazza è in piedi, abbandona il paesano. Adesso ha scelto, quel gesto col fazzoletto rosso era per segnare la sua preferenza su chi cadeva. Adesso deve dimostrare al villaggio che è indemoniata, non puttana.
E la ballerina abbandona il leader e danza sola, mantenendosi la veste. E più gira più si trasforma in lunatica dea. La musica è al massimo della velocità. Un tempo talmente sfrenato da perdere di tanto in tanto il ritmo.
I bottari percuotono fortissimo.
I due guardano poi fuggono, raggiungono le moto e spariscono nel nero che li inghiotte e se li porta via.


Intanto la ballerina/malata, rinsavisce. La musica termina stavolta lentamente alla casa della tarantolata e nella piazza, dove la donna si riprende e rientra nel contesto del suo gruppo.
La gente la guarda con stupore e applaude un poco attonita.
La gente guarda con stupore e un poco attonita, ma neanche tanto, il consueto spettacolo al negozio TIM.
Tra poco inizieranno i rilievi poi una mano neutra passerà acqua e candeggina sul pavimento.

Gli amici bussano alla porta.
I due si sono cambiati poi sono tornati, mischiati con la folla, sono andati a vedere lo spettacolo da loro stessi prodotto. Stanno prudentemente dietro e allungano il collo.
Poi uno dei due chiede ”Che è stato?”.
tempo (coincidente con la lettura più coda parlata fino a: ragno letale )
Napoli, 2005. Comincia a piovere.
TRACCIA 2 FINE 13.08 min
































“Sono nata dove la pioggia
porta ancora il profumo dell’ebano,
una terra là dove il cemento ancora non strangola il sole.
Tutti dicevano che ero bella
come la grande notte africana
e nei miei occhi splendeva la luna.
Mi chiamavano la perla nera”.
TRACCIA 3(1) 1.25min.

Hasan Kalif Odan lascia la sua casa e la sua terra, la Somalia, e raggiunge l’Italia perché le hanno detto che lì può realizzare i suoi sogni.
La cosa non dovrebbe essere così difficile; è bella anche se di statura minuta.

Arriva a Napoli e inizia a frequentare i locali.
1995, giugno.
Accetta un passaggio da un ragazzo all’uscita di un locale. Un giro in machina in tre e poi la riporteranno a casa.
L’auto corre veloce, per non darle neanche il tempo di aprire la porta e cercare di buttarsi giù. Entra nel paese di S. Antonio Abate, lo supera, si dirige verso un casolare. E’ notte.
La tirano giù e la violentano a turno; uno la mantiene mentre l’altro la stupra, poi si danno il cambio.
Arrivano altri venticinque compari.
La trascinano dentro al casolare.
La legano, torturano e violentano. Sono ventisette.
Ci rimarrà diversi giorni attaccata al carro, seminuda, sporca.
Le sue urla richiamano l’attenzione di una pattuglia di ronda.
Gli agenti non la toccano. Per loro la prima cosa è prenderli.
Si nascondono.
Lei continua ad urlare, il sangue che corre nelle tempie. Il cuore batte come il tamburo di grancassa. Cupo e forte e a volte pungente; salta ritmicamente il corpo nudo legato sulla terra nuda. Lo sguardo fisso alla porta, aspettando che tornano. Lacrime e sudore le colano sul collo, in bocca in gola.
TORNANO!
Sparano, gli altri rispondono al fuoco tentando di fuggire. Li prenderanno tutti.
Lei rimane legata alla ruota del carro, seminuda, sporca con i proiettili che le fischiano nelle orecchie e nemmeno le mani per difendersi. Gambe idratate di sudore e imbrattate di sangue, sperma, terra.

Quando la slegano è calma.

Al pronto soccorso i suoi occhi sono fissi sui tubi bianchi dei neon che le corrono sulla testa. Alcune facce la scrutano. Odore di disinfettante che stordisce e rianima,
La dimettono.

Nei giorni che seguono il paese di S. Antonio Abate organizza una fiaccolata.
In difesa degli stupratori!

Da quel giorno dimentica per sempre il suo nome. Non riesce a ritrovare la via di casa, non ha documenti con sé, nessuno la può aiutare.
A chi glielo chiede risponde Jasmine, Janet, Nadia.
TRACCIA 4 -5 Ebano


Da “Un anno senza Janet” di Luca Musella Ed. Nonsoloparole.


2002 Inverno
Janet passava sempre all’angolo di via Toledo dove Nicolino, quando ha genio, mette la bancarella.
-Tu non hai pazienza. Scappavi appena iniziava a parlare. Io l’ascoltavo. Per ore. Mi parlava di un uomo che l’avrebbe salvata. Non capisco da cosa. Aveva una lingua strana, incomprensibile.
Beveva, beveva anche di mattina presto. A volte era intollerabile e dovevo allontanarla. A volte puzzava. Sembrava pazza, completamente fuori.
C’erano associazioni che volevano aiutarla. Ma per capire devi avere un linguaggio, un codice su cui intenderti.
Janet era così: un giorno beveva e malediva il mondo, un altro beveva e lo amava…-

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Da Gomorra di Roberto Saviano:

24 gennaio 2005
Quando i killer sono entrati nel negozio stringevano già i calci delle pistole. Era chiaro che non volevano rapinare ma uccidere, punire.
Attilio ha tentato di nascondersi dietro al bancone. Sapeva che non serviva a nulla ma magari ha sperato segnalasse che era disarmato, che non c’entrava nulla, che non aveva fatto niente.

Gli hanno sparato, hanno scaricato i loro caricatori e dopo il “servizio” sono usciti, qualcuno dice con calma, come se avessero acquistato un telefonino…

Attilio è lì. Sangue ovunque . Sembra quasi che l’anima gli sia scolata via da quei fori di proiettile che lo hanno marchiato in tutto il corpo.

Lavorava in un negozio di telefonia e poi per arrotondare in un call center. Ha creduto buona cosa diventare azionista di quel negozio dove ha trovato la morte. ..Si fida del suo socio, una lontana parentela con il boss di Bacoli. Gli basta sapere che è una persona che vive del suo mestiere faticando molto, troppo.


Il corpo di Attilio è ancora a terra quando arrivano i parenti. Due donne. Nel percorso si stringono, camminano avvinghiate spalla incollata all’altra spalla, ormai sono le uniche a sperare…

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2002 inverno.
Samuele è un barbone marocchino, compagno di sbronze di Janet.
Soffre di crisi di epilessia. La prima gli è capitata alle tre del mattino in piazza Castello. E’ rimasto due ore per terra duro. Il sangue gli usciva dalla testa, dal naso.
Ha un braccio rotto, un occhio malandato un ginocchio andato, pochi denti tutti doloranti.
La testa rotta in più parti, l’asma.
Ha smesso di bere e di prendere caffè, ma non basta; il medico gli ha detto che deve allontanare la rabbia.!.
Quando piove dorme nell’androne del palazzo di Naldi, il presidente della Società calcio Napoli. Il patto è chiaro: deve entrare dopo le venti e uscire prima delle sette.
Un bel gesto, tutto sommato.
Venendo in Italia,aveva avuto la sensazione di essersi ripreso la vita, adesso è un fantasma senza età. Per sopravvivere fa la colletta a via Toledo. Ha bisogno di almeno 16 euro al giorno per le medicine e se gli stringi forte la mano strilla per il dolore.

- “Ho conosciuto Janet nel 1995.
Eravamo alla discoteca Buca Nera. Una sera un ragazzo la invitò a fare un giro, lei accettò.
Da allora il nulla. Elemosina e alcool. Aveva anche un marocchino alle costole, non riusciva a liberarsene, forse non voleva. Lui la picchiava gli rubava i soldi delle elemosine. si approfittava sessualmente di lei, del resto non era il solo.
Era capace di venire al circolo e di bersi tutti i soldi di Janet ma di lasciarla fuori.
Gli ha rotto una mano, aveva sempre gli occhi gonfi e neri, graffi, una volta l’ha gettata per le scale del colonnato di Piazza Plebiscito”-.

-“Ragazzetti, bianchi, vecchi benestanti, altri africani. A Janet La picchiavano tutti.
Solo l’alcool era il rimedio. Sempre l’alcool.
Aveva crisi di nervi violente, era epilettica. Dimagriva, non mangiava quasi mai.
Bevevamo insieme. Con me si sentiva sicura, arrivava in mezzo a noi all’improvviso.
Buttava i soldi per terra per dividerli con noi. Della violenza non ha mai voluto parlare. Anche quando scompariva per qualche giorno per tornare tutta livida, non diceva niente”-.

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25 gennaio 2005 Il MATTINO Cronaca di Napoli
Il lamento di una mamma rompe il silenzio. Hanno ucciso suo figlio, colpendolo anche in volto, nemmeno lei lo riconoscerebbe, i carabinieri non le permetteranno di vederlo. Umana pietà. Lei grida. «No, Attilio no. Non è lui, non può essere lui». La donna barcolla mentre ripete il suo lamento, la reggono, ma si divincola, la tengono, ma rischia di cadere in quel dondolio ossessivo e consolatorio.
…Per lei una sedia, gliela trovano in un negozio vicino, la sistemano alla meglio in un angolo riparato della scena del crimine.


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- Janet “Voleva solo bere. Gli serviva. Ma la notte gridava nel sonno. Erano urla di terrore. Cercavamo di consolarla ma lei si girava su un fianco e continuava a dormire.
Per Janet era normale gridare da sola”-.
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Febbraio 2002
METEO: Una perturbazione a carattere temporalesco. si addensa sul Centro-Sud Italia portando instabilità, aria umida e piogge sparse lungo le coste
Temperatura in diminuzione nei valori minimi.


E’ difficile dormire all’aria aperta. Senti tutta l’umidità nelle ossa come fosse acqua.
Ci si addormenta tardi la notte e ci si sveglia prestissimo. Alle sei sei già in piedi.
A quell’ora però è facile fare solo i propri bisogni.
C’è chi si adatta a farli in una busta di plastica per poi gettare il fattaccio in un cassonetto.
C’è chi non ha questo spirito ecologista e lascia tutto per strada. Janet apparteneva a questa categoria. Quando era sbronza era capace di farlo avanti a tutti.
Dalle sei alle otto è il momento più duro della giornata. Fa freddo, si hanno dolori ovunque, è tutto chiuso.
Se si ha tanta fame si divide il pasto coi cani. Ci sono sempre tre o quattro vecchiette che portano gli avanzi ai cani. Spesso è roba saporita, quasi mai calda.
Alle otto e mezza si inizia a fare l’elemosina. Qualche bar dà via i cornetti avanzati del giorno precedente e ti fa anche un cappuccino in bicchiere di plastica.
La giornata trascorre più o meno così: si beve e si fa l’elemosina.

I volontari consegnano cibo e coperte solo la sera.
Verso sera qualcuno raggiunge le varie mense qualche altro è raggiunto dai volontari.
Molti si fottono.


Marzo 2002
Meteo: “Piogge leggere interesseranno la Campania per le prossime 48 ore.
Tendenza. Peggioramento del tempo a causa di una perturbazione proveniente da Nord Est che porterà un brusco abbassamento delle temperature.


La vita di Janet, negli ultimi tempi si volgeva entro un perimetro abbastanza chiaro. Una specie di triangolo che aveva come base il tratto di strada che va da piazza del Plebiscito a piazza Castello, come altezza il primo tratto di via Toledo, come vertice vico Maddalenelle ai quartieri Spagnoli, una delle zone più malfamate della città.

Janet si svegliava all’alba: Tremava come una foglia. Aveva bisogno di una o due birre per calmare il tremito. A quell’ora ci sono poche persone in giro ma tutti le davano qualcosa e, appena apriva un bar riusciva a comprarsi due Peroni grandi. Acquietato il tremolio si sedeva su una panchina sotto il comune e riposava un poco.
Poi si dirigeva verso via Toledo dove faceva l’elemosina.
Ogni volta che metteva due euro da parte, se nel frattempo non era venuto il marocchino a rubargliele saliva ai quartieri a bere.



Traccia 6
(La panza vuota pensa a chella chiena
Ma chella chiena noun ce penza mai.
Si pure dice ca ce penza assai, non ce credite, non ce penza mai. )

15 Marzo 2002 Il Mattino
Taccuino; Domenica 17 alle ore 18.30 all’Hotel San Germano Torneo Open 2 di Burraco organizzato dal Centro Italiano Campioni con il patrocinio della BUR IT
Per info:348…..

La fintobionda moglie del noto odontoiatra di Posillipo scende dal fuoristrada BMW nero, ha con sé due bambini bellissimi e vestiti Benetton. Attraversa la strada e entra nel bar Serpentone. L’amica fotocopia l’aspetta al tavolino con un caffè. Devono decidere la palestra per tonificare glutei e interno cosce poi il fitness e lo step. I bambini stampano nasi, bocche e mani appiccicose sulla vetrina dei gelati. La fintobionda va verso la cassa per pagare i gelati e si ferma al banco salumeria incantata. 200 grammi di tartufo nel risotto di sabato sera, per fare bella figura con gli amici…..

Janet Si fermava alla Cantina del Boss, oppure da Titina oppure al Circolo Mar Rosso, un ristorante eritreo. La giornata passava così.
Saliva e scendeva dai Quartieri sempre più sfatta dall’alcool. Verso le 14 iniziava a sconnettere. Doveva mangiare qualcosa ma spesso non ne aveva voglia.
Poi si sedeva un’oretta a Ponte di Tappia, a quell’ora piena di luce, il suo volto faceva spavento.
Il pomeriggio ricominciava: un po’ beveva un po’ faceva la questua. L’alcool ha il misterioso potere di far digerire ogni cosa. Janet sapeva il mistero del vino. Affrontava le paure, i traumi, la certezza che a bere qualcuno l’avrebbe picchiata derubata, violentata, con uno strano sorriso stampato in faccia. Poi scendeva l’orrore.
Tranne il giovedì sera, quando un gruppo di volontari passava a cercarla e trascorreva un paio d’ore con lei, senza però cavarne molto.



Ogni notte era un delirio.
Veniva sballottata come un pupazzo.
Ogni freno smarrito.
Ogni speranza umiliata.
Aveva attacchi di epilessia crisi di panico, vagabondava senza meta nel labirinto dei vicoli. Come una belva ferita.
Spesso aveva la febbre alta.
Il puzzo di orina, e del sudore.
Tracce di sangue sui vestiti, in faccia.
Vagava fuggendo dal suo persecutore o cercandolo.
Poi, sanguinante e sconfitta si andava a coricare nel vicolo dietro la Banca d’Italia oppure sotto il bastione del Castello. Si lasciava andare stremata su un cartone e cercava di dormire.


Ma, anche nel sonno, continuava l’oltraggio;
sentiva mani ignote dentro la carne,
sentiva il fischio delle navi lontane, sentiva lo scuorno dei suoi pochi pensieri.
Allora si svegliava urlando.

Pausa Traccia 7 4.09min
Nella traccia: La sua vita era lì. Mostrava alla luna tutto il ribrezzo possibile.


Traccia 8 Marco Lindo Ferretti
La vita è una gran cosa.
Lo dice la Leho,
Mia anziana parente e vicina di casa.

Ha Lavorato sempre, mai preteso niente,
patita la fame e la miseria abbondante.
A parte la salute,
nessuna fortuna mai l'ha toccata mai.
Mai.
Ma se, una volta morta, Dio le dicesse:
"Leho, torna laggiù, ti tocca tutto quello che ti è toccato già"
Si illuminano gli occhi,
sorridono i pensieri nella mente
"Ci direi: Si Signore,
torno laggiù, uguale.
la vita è una gran cosa.
Mi basta aprire gli occhi su un mattino di sole
e tutto il resto io lo rifarei".


Janet quando era allegra cantava. La voce era quella della sua terra, la Somalia. Melodie da bambina africana. Cantava e beveva. Era stata bella.
Aveva studiato a Roma.
Una notte prese un passaggio e finì dentro un casolare.



Anno 2002. NUOVLE E PIOGGIA LEGGERA FREDDO.

CON L’ACCUSA DI VIOLENZA SESSUALE DI GRUPPO E LESIONI, TRE PERSONE SONO STATE CONDANNATE CON RITO ABBREVIATO, ALLA PENA DI UN ANNO E DIECI MESI.
Gi imputati in tutto furono 7, quattro sono ancora in attesa di giudizio, degli altri venti non si sa più niente.

(Janet incontra Luca, gli va incontro).
Janet aveva un occhio chiuso. Tumefatto. L’altro era vitreo, sordo. La faccia stravolta dalla notte all’aperto. Sembrava molto malata. I capelli erano corti. Sporchissimi. Spettinati. Indossava un piumino bianco enorme. Le mani non si vedevano pareva uno spaventapasseri.
“Mi osservava in silenzio. Io non ho neanche rallentato e ho tirato dritto. Lei ha seguito i miei movimenti.
Immobile”.
“L’ultima volta che l’ho vista, novembre 2002”.


24 gennaio 2005
Sperano, sperano sperano e sperano ancora che ci sia stato un errore una bugia nel passaparola, un fraintendimento del Maresciallo dei Carabinieri che annunciava l’assassinio.

Sperano sperano sperano e sperano ancora, come se ostinarsi maggiormete nel credere qualcosa possa davvero mutare il corso degli eventi. In quel momento la pressione arteriosa della speranza raggiunge una massima assoluta, senza minima alcuna.
Ma non c’è niente da fare.
Le urla e i pianti mostrano la forza di gravità del reale.
Attilio è lì, per terra.

Pausa Traccia 9 Vinicio Capossela.
Coro: Oh Matri mia
Salvezza prendimi nell’anima
Oh Matri mia
Salvezza..



Un’anima che scappa, si perde.
Janet iniziò a perdersi. Nel vino, nel grigiore, nel nulla.
L’alcool aveva annientato il suo spirito; attutiva, ovattava il dolore, leniva le ferite.

…Sei anni…
Traccia 10 Vinicio Capossela.
Coro: Oh Santissima dei Naufragati
Vieni a noi che siamo andati
Senza lacrime, senza gloria,
Vieni a noi per noi pietà.


La notte scendeva nella sua vita.

Il destino era compiuto.
Una mattina era sbronza, gli occhi tumefatti dall’ennesima violenza subita. I vestiti laceri.
All’ospedale Ascalesi, l’anno pure medicata.
Esce dall’ospedale Ascalesi e si lascia andare sull’asfalto.
Pausa. Traccia 11 4.03 Min



Non sono tempi buoni. Le giornate sono umide e fredde, poca luce, acqua nel cielo, freddo, a volte vento.
Chiusa nel suo piumino bianco continua a stendere la mano verso la gente che passa e che, a volte, le dà qualcosa. Ma non basta e li prega; non ottiene niente e impreca, urla, gli urla contro. Per avere qualche centesimo.
URLA CONTRO LA GENTE PER AVERE QUALCHE CENTESIMO!!
La gente ha paura e si allontana.
E LEI URLA PERCHE’ LORO SI ALLONTANANO, E Più URLA Più LORO SI ALLONTANANO, ALLORA LEI URLA Più FORTE.



All’Ascalesi non avevano tempo per lei.

Venerdì 6 dicembre 2002
La parcheggiano su una panchina di fronte al pronto soccorso in attesa di sbrigare altri casi e poi andare a prenderla.
La conoscevano, sapevano che non era grave, che era Janet, che non c’era ormai più niente da fare.
E’ seduta su una panchina e guarda all’interno della sala. Le infermiere sono vestite con casacche verdi e sorridono agli infermi, arrivano medici con camice sbottonate sul petto nudo e camici bianchi che parlano, carezzano e ridono.
L’immagine diventa sempre più nitida ai suoi occhi; il freddo svanisce; adesso anche lei è in quel bel tepore. Tutti le sorridono e le portano cose calde da bere. Le carezzano e le curano le ferite, la baciano e le dicono cose carine, rassicuranti.
Poi l’immagine cambia. Un’isola in mezzo all’Oceano con future veline ed ex calciatori che giocano ad avere fame. Sono tutti stanchi e emaciati, mentre le telecamere riprendono Janet, giovane ragazza di colore in splendida forma che mangia il suo pugno di riso poi sorridente, bellissima nuda e baciata dal sole che si immerge nell’Oceano e ritorna con uno splendido pesce bianco per i suoi compagni e per lei.
Nessuno la nominerà mai e lei vincerà l’edizione di quell’anno. I suoi denti splendono bianchissimi in quell’ovale perfetto e bruno che è la sua faccia.
Gli italiani la amano.
Sorride, sente caldo.
Poi l’immagine cambia. Infermeria calda ed accogliente dove lei aspetta di entrare.
La pioggia si manifesta in forma di nebbia leggera e in quella nebbia lei perde e ritrova il pronto soccorso avanti ai suoi occhi. Ma non vuole mollare così si tiene sveglia e lo fissa bene.
Si allontana. Su un binario di treno, piano piano sfugge dal suo sguardo, sempre più lontano e sempre più piccolo.
Sempre più stanca.
Sempre più lontano, velocemente lontano. Ultima immagine.
Sole africano, poi gli occhi si chiudono.
“Dove sono… Dimmi, dove sono?”



Su una panchina nel cortile dell’Ospedale,
in attesa di essere ricevuta al pronto soccorso, Janet restituisce una cosa da poco conto:
la sua anima a Dio.

Traccia 12 EBANO
Ebano,
It’s a long long night
It’s a long long time
It’s a long long road


FOTO 10 via di qui




























DA: Medicina Democratica: Storia di Genet


“Venerdì 6 dicembre (2002) una 32 enne di nazionalità somala, Hasan Kalif Hodan, è deceduta dentro l’ospedale Ascalesi, dopo essere rimasta molte ore –forse 26-, all’interno dell’atrio del Pronto Soccorso ove si era recata per farsi medicare le ferite al capo…

…Si era presentata la sera del mercoledì 4 dicembre al pronto soccorso del suddetto ospedale e con due ferite lacero-contuse, una al viso, l’altra alla nuca.
Diceva di essersele procurate con una caduta accidentale (!?) e, dopo aver ricevuto una medicazione chirurgica è stata dimessa.

… Da quel momento la donna che, secondo i Sanitari era in stato di ubriachezza, non si sarebbe mai allontanata dall’ ospedale. Il fatto certo è che dalle 17 alle 20 circa del giorno dopo (5 dicembre nda) la ragazza è ancora nel cortile e viene contattata da qualcuno dei volontari del Centro di Documentazione.

… La donna non sta bene, si stende su una barella nel cortile, a tratti non si capisce cosa dice, sembra che cerchi aiuto.
Viene sollecitato l’intervento dei Sanitari del pronto Soccorso che sminuiscono la cosa ma, assicurano, sarebbero intervenuti.
(sta smaltendo la sbornia….).

…La donna muore nella notte di venerdì sempre all’Ascalesi dopo aver emesso sangue dalla bocca.

La versione ufficiale è che la “sbornia” avrebbe provocato una pancreatite acuta.


Forum per il Diritto alla Salute - Napoli

Col. Douglas Mortimer

venerdì 9 novembre 2007

BUIO..


Nella mente.

L’uomo aveva da un po’ passato la cinquantina e, adesso che i figli se ne erano andati, viveva solo con la moglie che adorava. Era un tipo giovanile che giocava al calcetto il lunedì e lei una di quelle aggiornate che vanno al cinema sempre, con le amiche e quando si paga di meno.
Abitavano a Fuorigrotta, città di Napoli.
Lei era l’unico affetto certo che aveva, il suo scoglio, il porto sicuro e rifugio nelle malattie, la gioia, il costante e infinito ricontrarsi ogni mattina dopo aver dormito nel loro modo strano, abbracciati da dietro.
Era anche la persona con cui faceva l’amore quasi sempre (tranne qualche segretaria) e avevano passato insieme tutte le tempeste della vita.

Quello era il pomeriggio del suo cinema e avvenne qualcosa.
O una mail di lei per sbaglio capitò nel suo computer o, più facilmente, sentendosi solo lui entrò nell’ indirizzo di posta elettronica della moglie e si mise a scrutare nella speranza di trovare qualcosa di nuovo e di eccitante.

“Caro amico che mi accompagni da anni” (?!?) “ieri ancora l’ho rivisto. E’ come dici tu, è brutto, grasso, antipatico e poi è volgare un cafone schifoso con quella pancia ributtante e l’alito che puzza di vino. E poi bestemmia ed impreca una continuazione e tu hai perfettamente ragione, non è proprio adatto a me. Mi fa schifo e non posso fare a meno di lui. E’ così rivoltante, così sporco e così violento.
Ieri, dunque eravamo al capolinea del tram e, come al solito mi riaccompagnava fin dove gli era consentito. Ci stavamo separando quando, improvvisamente mi sono trovata schiacciata contro il muro di lui. Una mano mi premeva sulla schiena e l’altra spingeva la mia faccia, la mia bocca contro la sua. Mi forzò con le sue labbra finche io aprii le mie poi con una lingua di ferro mi spalancò i denti, nonostante io facessi di tutto per serrarli.
poi entrò con la sua lingua nella mia bocca e mi sentii presa dl panico.
Non volevo, ma non riuscivo a dire di no
Dopo un po’, caro amico, mi trovai -non chiedermi perché-, a premere anch’io la mano dietro al sua testa e a spingermi sempre più dentro in quella esplorazione che mi provocava il vomito ma di cui non potevo fare a meno.
Automaticamente la mano cominciò a scendere cercan


A volte in campagna si innalzano grandi covoni pronti per esser bruciati, ma poi piove e, il contadino per accenderli usa la benzina.
Nel momento che lanci il fiammifero ti senti invaso in meno di un attimo da un vento caldissimo che ti arriva alla radice dei capelli e devi scappare subito, altrimenti bruci. E’un istante e solo quelli bravi riescono a farlo.
L’onda di fuoco è improvvisa e violentissima e se rimani fermo ti consuma prima delle fascine.

Così si sentì l’uomo. A stento risucì a mettere tutto a posto e poi fu preso da una grande smania.
Non pensare, non pensare. Cammina.
Dalla sua mente dovevano andare via tutti i pensieri che riguardavano sua moglie quella lettura e questa faccenda. Non poteva tenerli dentro perché erano come il covone acceso con la benzina.
Allora c’era una cosa sola da fare: camminare.
E occupare la mente di imperativi categorici e assoluti.

Tutta la sua mente era presa da un monologo velocissimo e gli comandava cosa fare.
Scendere, uscire, camminare. Non fermarti, non fermarti, qualsiasi cosa accada tu non fermarti. Non fermarti mai!
E cammina veloce con le mani fuori dalle tasche, aiutandoti nel movimento.
E non piangere e non gemere, e non gridare. Cammina, Tutte le tue energie devono essere consumate solo in questa azione.
Non cedere il passo alla signora che incroci, prosegui dritto e cerca di non deviare mai. Non deviare mai. Non devi deviare.
Devi camminare senza una meta, senza uno scopo. Non scegliere un posto dove andare, ripeto non devi scegliere un posto, ma semplicemente prendi le strade in pianura e in discesa.
Non prendere le salite. Non le devi prendere. Ti rallenterebbero il passo e ti costringerebbero a pensare e, invece tu non devi pensare.
Continua a camminare attraversa le strade senza curarti dei semafori. Le auto avranno paura –loro di te-, e ti scanseranno. Adesso è più pericoloso fermarsi che attraversare di getto. Tu attraversa di getto!
Non curarti del tuo aspetto, non curarti del tuo sudore, non asciugarti il sudore. Il tuo sudore non lo devi asciugare. Mai.
Le tue mani devono solo aiutarti a camminare.
Cammina verso il Viale Augusto, poi traversa la piazza, poi vai per il viale del parco dei giochi e poi per il lungomare. Non curarti delle persone, non guardare mai in faccia le persone che incontri. Questo è fondamentale, non guardare nessuno in faccia. Mai.
Guarda avanti a te e continua a camminare fino a quando non ce la farai più.
Se ti senti stanco allora fermati e pensa a una cosa che hai letto.
Se sei ancora nella fase dell’esplosione questa cosa ti farà camminare di nuovo.
Asseconda il tuo istinto. Il tuo istinto, il tuo istinto ti dice di camminare e tu vai avanti.
La voce dentro era monocorde ed imperiosa, una voce da basso come non l’aveva mai sentita. Nuova.

Arrivò verso Pozzuoli e si rese conto che i pensieri potevano arrivare alla sua mente facendogli male ma senza provocargli ustioni.
Così aspettò il tram e si rimise in viaggio verso casa.

Capita che il contadino col forcone attizzi il fuoco e, da ceneri ancora calde si rialzi una violenta e, di nuovo improvvisa, fiamma.
Come una molla si alzò dal suo posto e corse vero la porta. Iniziò a prenderla a calci e a pugni. Il conducente impaurito lo aprì e lui cominciò a camminare di nuovo, stavolta verso casa.
Sua moglie era tornata –c’era la macchina nel posto assegnato-. Come si sarebbe presentato e che le avrebbe detto. Le avrebbe detto qualcosa?
Nell’ascensore si guardò a lungo allo specchio. Poi entrò in casa. Lei era in cucina. Lui scivolò nel bagno e si fece una doccia bollente.
Sono delle saune domestiche. Metti il termostato al massimo e rimani fermo ad ustionarti. Poi esci ti metti l’accappatoio e ti butti sul letto, quasi svenuto e senza forze.
Ma rilassano.

Poco dopo era a tavola. Lei cucinava le uova e ci metteva, come al solito la sottiletta come piace a lui. Prese la bottiglia e versò il vino. Prima a lei. Poi tagliò il pane. Lei gli passò vicino e gli porse il piatto con un carezza.
Lui prese la forchetta. Poi, come d’abitudine, attese che lei finisse, che si sedesse, che prendesse il primo boccone e cominciarono, parlando delle solite cose: del film, dei figli.

NO! CAZZO NO!
Come una furia si alzò dal tavolo uscì sul terrazzino. C’era una cassetta con dodici bottiglie di vino rosso. Lui urlando le ruppe tutte a terra, inondando il balcone di liquido rosso dall’odore acre come il sangue. Il vino cadeva sui gerani di quello di sotto poi sulle teste dei passanti e sui tetti delle macchine.
Sua moglie lo guardava smarrita, con la forchetta a metà altezza e la bocca ancora aperta. NO!! NO, NO!!

Dai balconi, i dirimpettai sentito quel fragore di vetri e quel monosillabo urlato, si affacciarono, uno o due alla volta a vedere quello spettacolo e a chiedersi il perché
Un uomo cortese potesse impazzire all’improvviso.



Col. Douglas Mortimer

martedì 2 ottobre 2007

Dedicata agli sconvoltoni dell'Isola degli Sconvolti.

Me fumo tanta erba e nun me pongo freni
tu fumi le marlboro e sai che t'avveleni..
me sfonno de cannoni...
me sogno piantaggioni...
e quanto gira la canna semo tutti più boni...
e quando che cala la sera arriva in un momento...
grazie al mio cannetto acquisto un nuovo portamento...
cambia lo stato d'animo ma non l'atteggiamento...
me sento piu' felice in questa merda de cemento...
E nun me va!
che poi la gente sta dietro a sparla' di me...
perche' non so...
ma forse un giorno ci arrivera' da se...
a capire che il mondo non è...
che se una cosa è legale allora nun fa male...
sai tanta gente ce finita all'ospedale..
te dico tanta gente ce finita all'ospedale..
te ricordi la salmonella?
te ricordi er metanolo?
te vendevano la merda e la chiamavano barolo..
invece la marjuana..no!
nun cia li pesticidi...
al massimo se ce li ha...
quando la fumi li uccidi...
.è fresca e naturale...
pero' non è legale...
per questo tanta gente dice che fa male...
ma nun è vero...
e so sincero...
perche' la vita è mia e ci tengo per davvero..
e se tu fumi...
mi puoi capire...
la gente che non sa..
per me deve tacere !!
sapessi quanto è bello la mattina appena alzato...
trovare accanto al letto un cannetto già rollato..
amico perche' critichi se nun l'hai mai provato?
ma come ti permetti a dirmi che so drogato?
se sei ignorante amico nun parla'...
se non sai un cazzo...
non ti pronunciare..
se nun sai l'argomento, come fai a criticare?
te devi star zitto e devi ascoltare...
ma sai quante so' le cose che dovrebbero cambia'...
purtroppo se continua sempre a criminalizza'..
so sempre di più i limiti e i posti alla liberta'...
me fumo la marjuana e me ritengo normale...
non sono un assassino ne un pazzo criminale...
purtroppo questa qui...
è la realta' attuale..
te bruciano la vita per una cosa naturale....
.......come l'ERBA.......



LEGALIZE MARIJUANA!!!!!

lunedì 3 settembre 2007

SOGNO O SON DESTO?


Sudo. Tra lenzuola infuocate. Le persiane mollemente sbattono contro le finestre. Dalla cucina arrivano sinistri rumori di vetri scossi. Potrebbero rompersi sotto i colpi del vento o potrebbero essere ladri che provano a violare la mia intimità, ma io da questo letto non riesco ad alzarmi. Sono in quel dormiveglia in cui le visioni oniriche si confondono con la consapevolezza di essere svegli e con la voglia di ricatapultarsi nel sogno. Come calamite, i quadri onirici mi attraggono irresistibilmente. Come ubriaco, mi abbandono ad essi. Sto sognando di un’estate passata; di un’estate lontanissima, secondo le coordinate, non del tutto ortogonali, del mio sistema di riferimento spazio-temporale.


Era un agosto statico, dal cielo terso e col sottofondo di cicale. Era il solito agosto annoiato da far passare in fretta. Decidemmo di scuoterci dalla sospensione dell’anima e partimmo per Firenze con i compagni del circolo “Che Guevara”. Per noi quella città simboleggiava un punto cardinale. Rappresentava una realtà così diversa dalla nostra, quella di un piccolo centro del profondo Sud. Profondo non tanto per latitudine, ma per vitalità intellettuale e opportunità per noi giovani. Partimmo con i nostri zaini semivuoti. Alla ricerca di qualche speranza. E anche di un po’ di divertimento. Il viaggio in treno non lo ricordo, forse volammo. Talmente ci battevano i cuori. Le nostre pupille erano quasi fuoriuscite dalle orbite. Forse per correre in avanti a esplorare il nuovo mondo che ci aspettava. Ricordo l’arrivo in Santa Maria Novella. Ci attendevano Lapo e Margherita, i compagni empolesi che avevamo conosciuto al congresso nazionale qualche mese prima. Ci spiegarono subito dov’era la scuola in cui ci saremmo accampati. Non era lontana dalla stazione e ci si arrivava a piedi. Io a Firenze non ero mai stato e così ogni angolo mi sembrava un pezzo di museo. Ci infilammo in una stradina. Lapo ci spiegò che l’entrata principale della scuola, l’istituto tecnico commerciale Fibonacci, era su via de’ Martelli, una delle strade principali del centro, ma noi avremmo dovuto usare l’entrata “alternativa” ricavata sul retro appositamente per l’occasione. Ovviamente, non saremmo stati i soli a occupare l’edificio. C’erano ragazzi da tutta l’Italia e anche alcuni compagni stranieri.


Ora mi viene il dubbio che non sto più sognando. Sapete, è quella strana sensazione che si ha la mattina appena svegli quando si cerca di ricordare un sogno o meglio di ritornare a un sogno che si è appena fatto. Non sono ancora completamente sveglio. Non sono ancora uscito del tutto dal sogno. E ci posso rientrare quando voglio. Ma questo sogno mi sembra sempre più contaminato dai ricordi. E’, forse, una strana categoria di sogno autobiografico. Affondando la testa nel cuscino cerco di viaggiare indietro nei meandri della mente.

Salutiamo Lapo e Margherita e ci sistemiamo nella nostra stanza. O meglio nella nostra classe: la 4^ B. C’era odore di gesso e d’inchiostro secco. Dovevamo evitare di aprire le finestre, così spalancammo le porte e le vetrate che portavano al cortile interno. Perlustrammo la scuola come se fosse stata una miniera di diamanti. Bussammo a tutte le porte chiuse ed entrammo in tutte le aule aperte per conoscere gli altri compagni-coinquilini. Stringemmo amicizia, in particolare, con alcuni ragazzi di Reggio-Emilia. Fieri e portatori di storie lontane. Erano quasi tutti figli o nipoti di partigiani. E lo portavano scritto negli occhi. La notte, ascoltavamo ammirati le loro storie. E ci sembrava di essere nudi. Chi eravamo noi? Per cosa avevamo lottato? Per cosa avevano lottato i nostri genitori? Cosa ci facevamo lì? Il vino rosso e le canne allontanavano ogni domanda. Ogni tanto spuntava un gruppetto di secchioni con le poesie di Majakovskij o Neruda. O qualcuno non sazio dei comizi serali che aveva voglia di discutere. Di solito erano ragazzi delle mozioni di minoranza in cerca di consensi, che sistematicamente venivano zittiti o ignorati. Alla cultura e al dibattito politico erano già dedicati il pomeriggio e la sera. Dopo ci volevamo dedicare soltanto alle musiche, ai balli e agli … sballi! La Festa era organizzata veramente alla grande! Ricordo che le prime volte mi perdevo tra stand e palchi e cercavo riferimenti per orientarmi. Ero entusiasticamente disorientato. Era quella la vita che avrei voluto vivere ogni giorno. Era quella l’atmosfera in cui avrei voluto far respirare la mia anima. Lì sentivo concretizzarsi parole come condivisione, appartenenza, speranza. Il comizio più bello fu quello del segretario nazionale. C’era una folla immensa. Sembravamo un corpo unico con una voce sola. Un corpo con centinaia di teste e di piedi. Ci avvolgevamo nelle nostre bandiere e mostravamo vigorosi i nostri pugni chiusi quasi a voler sorreggere il vento delle nostre idee. Il segretario chiuse il comizio dicendo “compagni, se c’è un’alternativa a questa società la dobbiamo volere. Se c’è una alternativa a questa società siamo noi!”. In quel momento il ritmo cardiaco collettivo schizzò in aria e un sangue di urla e applausi approvò le parole del capo. Mi sentivo vivo. E parte di un qualcosa che mi apriva gli orizzonti. Mi faceva sognare paradisi in terra e l’abolizione del Vaticano. Tanto non ce ne sarebbe stato più bisogno. Ero un sacerdote - operaio di una religione da costruire. Insieme ai miei compagni. Giorno per giorno. Vittoria per vittoria.


La mattina ormai alta cerca di prendere il sopravvento. Ma non avrà la meglio ancora per un po’. La luce minaccia di far svanire la mia concentrazione. Ma resisto nel mio sogno. Voglio che continui. Vorrei poterci entrare come in un videogioco e controllare ogni scena, ogni azione. Vorrei poter modificare il corso degli eventi, come se si trattasse della realtà.

L’estrazione dei salami di Montespertoli era una delle attrazioni della Festa. I due ragazzi che gestivano lo stand erano simpaticissimi e molto abili nell’attirare l’attenzione del pubblico. Adescavano la folla con battutine nel loro genuino accento toscano di campagna. Abbondavano i doppi sensi, ma anche l’esaltazione delle virtù dei prodotti della terra. “Signore, venite a comprare il biglietto per l’estrazione dei salami di Montespertoli. Solo mille lire per un biglietto. Primo premio: tre salami di codeste dimensioni. Che i vostri mariti un ce l’hanno mica di siffatte lunghezze! Secondo premio: un salame e una bottiglia di Chianti, di quello bono. Terzo premio: un salamino. Venite signore, e anche voi signori. Vengano. Vengano. A mezzanotte l’estrazione dei biglietti fortunati. Avvicinatevi al nostro stand. Qui trovate i migliori prodotti della Toscana: Pecorino di Pienza, Lardo di Colonnata, Chianti del senese, e il mitico salame di Montespertoli. E poi ci sono gli assaggini a ufo!” A ufo, mi spiegarono voleva dire gratis. Era una delle tante espressioni colorite che condivano quelle serate. Adoravo i toscani, con quelle consonanti aspirate, quel sarcasmo ostentato. E mi piaceva la loro capacità organizzativa. Ogni sera c’era un concerto seguitissimo. Di solito si trattava di gruppi di compagni che suonavano gratuitamente. Nei fine settimana, invece, si esibivano gruppi più importanti. Fu una grande emozione quando toccò a noi. Eravamo saliti a Firenze senza gli strumenti e senza nemmeno immaginare che avremmo suonato. Ma i compagni ce lo proposero e noi cogliemmo l’occasione al volo. Il sangue mi si scioglieva al ritmo di “Corazza di pelle” e “Take life easy”. La musica mi rimbombava nello stomaco. Mi sentivo un tutt’uno col vento. Non avevo nessuno intorno e volavo libero sopra fiumi di persone e nuvole psichedeliche. Tremava la terra e ci trasmetteva una carica anarchica. Avrei mandato a fanculo anche il mare. La bacchetta era il prolungamento della mia mano. Ogni colpo che assestavo sul charleston mi sembrava una frustata che davo alla Terra per scuoterla. Avevo la sensazione di poter prendere il Mondo tra le mani e mettermici a giocare come fosse un pallone. Lo potevo far rimbalzare con un colpo inferto alla grancassa. Lo potevo far salire al cielo con una sferragliata di percosse. La batteria diventava la macchina del tempo. Lo potevo fermare. Quando suonavo nient’altro accadeva nell’Universo. Se non quei suoni. Che s’intersecavano a quelli degli altri strumenti in una composizione aerea che riuscivo a visualizzare. Era un mosaico impazzito e dinamico.


Mi sto agitando troppo nel letto. Sto quasi uscendo irrimediabilmente dal mio sogno. Ma con un ultimo sforzo resisto per rivedere lei.

Eccola che mi riappare proprio come mi si presentò quella sera. Sapevo che si nascondeva qui da qualche parte. Era una morettina delicata e forte allo stesso tempo. Aveva degli occhioni di un verde che era un miscuglio di prati inglesi e di mari caraibici. I capelli le accarezzavano appena le spalle. Il suo sorriso accendeva il sole, rischiarando anche la giornata più nera. La sua voce era armonia. Le sue mani erano pennelli. La sua pelle era candida come il latte e si arrossiva a ogni contatto. Mi capitò davanti come fa un’emozione, che ti penetra come un aculeo. E la scossa fu la stessa. Come se stessi accarezzando un lampo a mani nude e un incendio mi percorresse la schiena. Ballammo tutta la notte. Salsa, merengue, baciata. Sudati.


Sudato. Sono zuppo. Mia moglie mi chiama. Apre le finestre. Mi riporta sulla Terra. Nella mia stanza, nella mia vita. “Ugo svegliati! Devi andare a prendere Mario alla stazione, ricordi? Ugo? Ugo?”. Mi sveglio contento. Magari continuerò il sogno in macchina. Poiché la vita è troppo breve perché si sogni solo di notte.
Br1

lunedì 20 agosto 2007

BREVI COMUNICAZIONI VELOCI


BREVI COMUNICAZIONI VELOCI


Manuela, detta Manu, di Roma, IIIC, incontra all’aeroporto del luogo esotico dove ha trascorso un breve periodo di vacanza non divertendosi perchè insieme ai genitori, Valentino –in arte Vale, che ha passato alcuni giorni da quelle parti spassandosela moltissimo ma non acchiappando nessuna figa.
I due sono seduti vicino e cominciano a socializzare, poi c’è la chiamata del volo di Manu, i suoi vecchi rompono come al solito quindi i ragazzi si salutano, non senza essersi scambiati il numero del cellulare.

Aeroporto di Roma, cellulare acceso, finalmente!
SMS: “Bn Vgg, 6 xcchio sìmpa Mi piaci Xo (vuol dire bacetto) Vale.

Lei si illumina, un sorriso le corre tra i dentini bianchissimi e subito risponde.
SMS: Ake tu, molto sìmpa, pensto a te tutto il volo XXO (Due bacioni) Vieni a Roma ke ti porto in comitiva e ci ved presto Manù 

E poi torna a casa. E’ tutta allegra e i due vecchi si dicono: “Vedi, le ha fatto bene venire con noi alle isole….. è perfino contenta di essere ritornata.
Manu corre in camera sua, accende lo stereo con una vecchia canzone TU NON LASCIARMI MAI, si butta a pancia sotto sul letto, mantenendosi sui gomiti per non soffocare quelle minuscole cose che sono i suoi seni, ancora in via di sviluppo ma pompatissimi da un reggiseno push-up due misure più piccole.

Telefona alla sua amicadelcuore. “Franci, lo sai ho incontrato un tipo fighissimo all’aeroporto, mentre partivamo. Non abbiamo avuto che mezz’ora ma sono già stracotta. Si chiama Vale è di Torino, che dici lo chiamo, eh!? Che ne dici? “
“Ma no aspetta, fatti desiderare, non chiamarlo tu, ma non stare nemmeno immobile.
Fai così, mandagli la tua foto vis MMS e vedi che fa”.

Le si auoscatta con il top corto e scollato, il pantalone a vita bassissima e i laccetti del perizoma che escono sui fianchi.
La manda.

Un minuto dopo.
MMS: Provenienza Vale. Sei davvero karina. Guardo la tua ft e penso a te. Ascolto una canzone che mi parla di te: TU NON LASCIARMI MAI.
Penso ke verrò presto da te. Ntanto ti mando qst XOOO ++ (un bacio immenso con tanta passione)
Invia un cuore rosso con due ali d’angelo.


Due giorni dopo a scuola, squilla il cellulare, Manu innalza una barriera di libri e confabula veloce e silenziosa con la-Franci.
“Sorbetti, Emanuela facci partecipare alle tue conversazioni, visto che Leopardi ti interessa così poco.
Su dicci”
Gniiente Prof, Gniiente Prof, è che sono – risolino- cottastracottafusa… Ma voi Over non lo potete capire”
La Prof. Che si tiene il marito, l’amante e il fratello piccolo dell’amante quando è in licenza dal militare, alza lo sguardo su un punto della parete di fronte e si perde nei suoi pensieri. Lascia correre-


Poi è un traffico di SMS MMS:

SMS Vale Manu, stntt ti ho sognata, io qs cotto tu?
SMS Manu Vale, io e te 3 Mt sopra il cielo XXX+++ più un altro cuore rosso in volo.

Vale riceve lo short message, e prende a pugni il suo compagno di banco che risponde con una risatina e aggredendolo. Fanno una piccola lotta gioiosa.

Allo stesso istante altro SMS Manu Vale io e te insieme fòrever TVTTTBB

Vale lo mostra a tutti e risponde così; TVTpBB Love Love Love

Manu chiama subito a la-Franci e le comunica la notizia.
“Franci Franci io e Vale stiamo insieme, sono fidanzata, mi sono messa con Vale!!!”
Poi abbraccia il cuscino a forma di cuore mette lo stereo a manetta e ruota come una pazza.
La mamma apre la porta per dirle di abbassare il volume e lei la prende tra le braccia e la costringe in ampi giri di valzer. “Mamma sono strafelice, mi sono messa con Vale, è trooppo fico!!!!”

SMS Manu stanotte alle 11.48 pensami, io guarderò stll e penserò a te Love Love Love

11.48 SMS Amore ti penso tanto, non vd l’ora di fare l’amore con te, Io pronta
11.49 SMS Amore domani corro da te. Love Love Love Kss
11.51 SMS Vale no! Aspetta, dicevo così. Non ven ke molto imp cn scuola. Appena posso dico ai vecchi ke vado da zia Firenze e ci ved llì Prendi una camera
XXXBB**
11.55 SMS per quella camera, facciamo tra un mesetto TVTppBN
11.58 SMS Aspetta per la camera te lo dico io qnd. ;
11.59 SMS Manu ma che succede il ns amore è bello e grande e nessuno può capirlo, io tvtttb e pns a te tutte le notti ke dormo ti sogno. Mandami una foto tua nuda. Smak

Panico. “Pronto Franci ho fatto un casino!! Gli ho detto che volevo fare l’amore con lui e lui voleva partire domani. Sono riuscita al fermarlo ma vuole una foto mia nuda”
“Ma lo sai che ore sonoooooooooo?
Ti prego ti prego, ti prego dimmi che devo fare, ti preggo..
“Mandagli una foto tua in costume e, soprattutto non chiamarmi più fino a domani. Digli che si accontentasse e per quello che ci deve fare va bene, il resto ce lo mette di fantasia. Buonanotte e Dormi!”.

MMS 01,20 foto di Manu in costume con scritta.
A’mo, ti amo tanto ma non mi sento ancora pronta, ho ttnt paura. Ti mando mia ft in costume Non lasciarmi sola in qst mnd crudele, mi fido solo di te. Io sola al mnd, nessuno mi kpisce , solo tu A’mo mi vuoi TnTT BBNN Ti amo e ti penso, ti strapenso ti strasogno; sognami e io ti sogno.

La mattina non va a scuola, a pranzo si presenta a tavola con un tatuaggio sul braccio: un cuore e dentro una V.
Becca uno schiaffo dal padre e batte i piedi a terra gridando “PAPI TU NON CAPISCI GNIENTE E NON CAPIRAI MAI GNIENTE, NESSUNO MI AMA IN QUESTA CASA E NESSUNO MI CAPISCE!!!
Sta per alzarsi da tavola ma il padre le molla un altro schiaffone e la costringe a finire la minestra che lei condisce con le sue lacrime amare di unica ragazzina incompresa.

Poi fugge in camera sua, si butta sul letto e comincia a piangere. Singhiozzando chiama Vale e gli racconta tutto.
“Vale, amore mio tu solo mi ami!!! Nessuno capisce questo nostro amore fatto di attimi e di momenti magici vissuti insieme. Io ti amo tanto e sono sniff gh. Voglio-fuggire-con-te.. ehh gheee, heggee gehhee!”

Finisce la telefonata lunghissima a spese dei genitori.
SMS Vale SMS +MMS.
Foto, il fascio di rose rosse.
Testo.Apri la porta A’mo Love Love Love”

Due ore dopo la mamma sale a consolarla. Ha fatto una cazzata e se ne deve rendere conto ma i ceffoni non aggiustano niente. Si aspetta di trovarla piangente sul letto invece lei balla con lo stereo a palla.
“Manuela è arrivato questo per te” E le offre un fascio di rose rosse giunto con Interflora direttamente da Torino.
Per la seconda volta si trova coinvolta in un ampio giro di valzer e la figlia che urla la sua felicità

CADUTA LIBERA.

Manu è fidanzata e si comporta come una che sta insieme. Non fila più i ragazzi, allontana l’amico confidente autista col motorino, dà consigli alle sue amiche che si devono ancora mettere con qualcuno e …aspetta.
Aspetta le sue telefonate, i suoi SMS le sue mail e le rose.
Per qualche giorno Vale non si fa sentire. Lei si allarma e chiede consiglio nel panico a la-Franci.
Franci la dà il divieto di telefonare. “Non devi fare gniente , Lui ti chiamerà, se lo chiami tu è finita. Se chiami tu non mi cercare più che non posso più aiutarti”.

Manu passa le giornate in camera sua col cordless tra le gambe, che stringe e allenta convulse. Ogni volta che squilla grida VADO IOO e poi tratta malissimo chi la chiama.
Ha uno sfogo isterico con l’amico confidente autista che –finalmente- la manda
affanculo. Non le interessa.
Poi in uno scatto scaraventa il telefono contro la parete.

SMS: Vale, Vale, A’mo, Vale, che fai non kmi +?? Io tanto triste e innamorata, km/mi subito àmo che altrimenti mi suicido.

La frittata è fatta! Non ha il coraggio di dirlo a la-Franci.
Infatti arriva la risposta.

SMS: Manu Ns amore trpp impegnativo per me mi sento soffocare in qs rapporto trpp intenso. Ns momenti bellissimi e indimenticabili.
Sii felicie come io sono
Ti mando foto di mia nuova ragazza.
Tvb
IO e te tre metri sotto terra

MMS con la foto di una puperottola biondacon la scritta LOVE LOVE LOVE

La crisi è spaventosa. E’ in un’apnea di pianto e sta pensando a come suicidarsi. Mentre distrugge tutto in camera sua e i suoi si tengono a debita lontananza, arriva un messaggino.

SMS TESTO: Ciao Manu, sono Enrico IVF tuo N dato Stefano. Ti ho vista in corridoio. Io cotto di te. Io e te 3 Mt sopra il cielo. Io SH azzurro. Ci ved domani all’entrata.
TVTBB innamorato pazzo di te. Cotto, stracotto, fuso.

SMS Enrico, ciao, mi ricordo di te, anke tu molto carino. Bello SH preferito. IO dopo brutta storia di amore. Andiamo piano, consolami. Domani 8,20 a casa mia per scuola, abito a via vieni con SH Love Manu

Poi corre al guardaroba e sceglie cosa mettersi domani.

Tre giorni dopo le arriva questo "criptato"
testo: "I+U 4ever 6 1ca 3MSC"

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SMS SHORT MESSAGE SYSTEM



Rimane incancellabile il tatuaggio. Il padre ogni tanto che si ricorda, le molla uno schiaffo, giusto per rinnovarle la lezione e che non le venga in mente di fare la cazzata un’altra volta, e lei chiama Enrico piangendo.
Ma ha già deciso. Quando le chiederanno cosa è lei racconterà della meravigliosa storia d’amore con un ragazzogrande di Torino, finita tragicamente; lei si stava suicidando quando
SMS, Short Message System.


Col. Douglas Mortimer

venerdì 17 agosto 2007

PENSIERI E PAROLE


PENSIERI & PAROLE

La donna più bella del mondo giunge alla riunione del giovedì dove lei concede la sua presenza e il suo tempo fatto di ori fini, in quanto al momento, contro ogni regola del BOn-tON lei non ha il ganzo.
Al suo arrivo si diffonde nell’aria il profumo di maggio, con le rose, i gelsomini, l’aria tiepida e tutte queste cosettine che piacciono, secondo lai all’audience maschile.

Nessuno alza gli occhi ammirato e le liberano due sedie consecutive, unite e senza braccioli per contenere il suo enorme culo.

<em>“Adesso vado da qui dieci zappatori e gli faccio vedere io che cosa significa essere femmina. Guarda qua, sono così bella, sottile, un bel sedere a mandolino”.

Abbondante.

"Poi ho gli occhi verdi, questi bei capelli ricci e biondi, sono delicata, docle, piccola!
Adesso arrivo là e tutti quanti non riescono a staccarmi gli occhi dalle gambe. Poi nel punto più importante della conversazione, accavallo le gambe e mi godo la scena di panico generale".

Cosa che accade.
Lei si fa sistemare le due sedie di fronte alla platea maschile e improvvisamente con cattiveria nel momento di massimo impegno effettua l’operazione di accavallamento.
Certo, si aiuta con le mani, compie manovre ardite e la sedia protesta rumorosamente, ma ottiene uno stato di panico diffuso da parte degli esseri umani maschi che una cosa del genere (di quelle dimensioni) non l’avevano mai vista.
C’è chi si protegge con il giornale, chi finge di salutare qualcuno ed esce, altri si avvicinano al tavolo per sfuggire a quella visione.

Si allontanano tutti e la donna più bella del mondo pensa che non ci sono più gli uomini di una volta che facevano a gara sulla spiaggia per potersi sedere vicino a lei, che le portavano i regalini e le rose.
Lei stava sotto l’ombrellone e dirigeva il traffico del corteggiamento. Non ha mai avuto bisogno della patente perché aveva l’amico confidente-autista che la accompagnava ovunque per poi, arrivati nelle comitive, mettersi un po’ in disparte e lasciare che lei facesse la stronza con quelli di rango superiore. Ma in compenso lei gli raccontava poi tutto. Come il ragazzo al livello la toccava, la baciava le si infilava dentro,,, poi lei però ha pianto, e ha pensato a lui.

Adesso nell’attesa del Principe Azzurro che, non si sa come mai, tarda ad arrivare lei allena il suo potere seduttivo sui zappatori di un circolo di sinistra.

E’ stata vista passeggiare per il corso della città turistica con due esseri cupi e oscuri, allontanarsi un attimo, in prossimità del tabaccaio Un momentino solo!!
Poi è stata vista tornare con due baci Perugina “Mò gliela faccio vedere io che cosa è una vera SSIgnora; una che dovrebbe stare al Vomero non certo qua!! MA che Ci faccio IO qua?!”
Pensierino carino
“che bella voce musicale che ho!”
Si dice che i due tipi abbiamo afferrato il bacio (era la prima volta) che se lo siano magnnato cò tutta la carta senza dire niente, nemmeno una parola.
Lei sorrideva contenta. Portava i suoi protetti, quelli dello Zoo a passeggio. Le scimmiotte.

Ma un tempo non era così Lei passeggiava vestita Prada, con profumi costosissimi e scarpette bellell’ lungo il Corso principale all’ ora dell’aperitivo e tutti gli avventori dei caffè alla moda si fermavano nel loro sorbire il drink delle sette e seguivano con lo sguardo le sue evoluzioni in bicicletta; in realtà era un curioso ed attento esame di come potesse un sedere così grande stare in equilibrio su un sellino così piccolo; a volte si univano, al circolo degli astanti, anche alcuni fisici che cercavano di spiegare con qualche improbabile teoria della relatività il mistero di quell’equilibrio strano e fantozziano (vi ricordate Ugo che salta in sella alla bersagliera mentre cade il sellino?).
E tutti la ammiravano da sotto le tende dei caffè: lei concedeva uno sguardo malizioso ma casto, di invito e scandalo, di scherno.
“Si vieni che ti acolgo io tra le mie Virtù teologali” “Che donna che sono!”
“Ma cosa fai?, io sono una personcina perbene, all’antica” Come me lo sto girandoooo!!!
“Ma tu insinui i tuoi sguardi sotto le mie gonne” “Attenta adesso, adesso devi far vedere che ti scandalizzi!!””

- Il poveraccio voleva solo capire come è fatta la famosa donnacannone di cui tutti abbiamo sentito parlare ma che nessuno ha mai visto.

“Niò, Niò, Niò Niò e pppooiiNIO” “Ma io sono un'analista contabile laureata, una donna seria, vengo da un’ottima famiglia, vesto bene, sono bella, sono intelligente, ho una conversazione interessante e aggiungo un tocco di classe al menù”
Mica sono una di strada, sai

"Asesso, adesso, adesso, glielo devi dire adesso!!”

- Il poveraccio intanto non capiva più niente, sommerso da un torrente di parole, con un gomito di Esssa puntato sulla spalla e tutto il suo Peso gravato sul suo (di lui) baricentro ):

“Gurada, guarda, tu mi piaci un pochino. Oddio, una donna di classe (alta) come me, dovrebbe sposare uno cha abita a Vomero, e poi bellissimo, ma sia. Domani vieni a parlare con i miei, io cambio l’ arredo in casa tua -tutto moderno, essenziale, pratico, come bellezza basto io. Poi ci faccio la scrivania olimpionica, ci metto tutti miei libri, sono molto colta sai? Poi cambio tutti i tuoi mobili di famiglia e ci mettiamo cose moderne, belle che piacciono a me. Poi prendiamo i tuoi anziani genitori e li mettiamo nella cuccia dei cani, ma non fare quella faccia, la faccio allargare; a spese mie –Dio come sono generosa-; poi compriamo una cucina nuova da Tufano MobilE, poi andiamo a prendere la parete attrezzata coi faretti, poi mettiamo il plasma 42” _Che gusto che ho? A proposito che musica ti piace? No, non va bene, facciamo solo latinoamericano che mi piace a me, poi tu imparerai ad amarla per amor mio. Poi i film, lo sai io sono una specialista, capisco al volo quelli che mi piacciono, quindi scegliamo tutto quello che piace a me.
Poi andiamo a casa degli amici, io mi metto il vestitino bellillo e porto i dolci che li porto io che li scelgo io perché io lo so io che già so dove devo andare. Poi io mi siedo SEMPRE vicino a te così controllo quello che ti mangi e soprattutto quello che tu bevi, poi apriamo i dolci e io ti dico quello che ti devi mangiare perché è il più buono e tu imparerai a fartelo piacere per amor mio, poi parleremo e tu ascolterai la mia conversazione colta e illuminata, perché io sono una quota rosa. Non lo sapevi? Non lo sapevi? Ma davvero davvero? Che sono una che, siccome è così bella, intelligente, elegante, colta e di bella presenza, parlo bene ad aggiungo un tocco di classe al menù, tutti i partiti mi prenderebbero come presidentessa?
Vedi che fortuna? Cerca di meritartela eh?
D’accordo? Ci sposiamo tra un mese e tre giorni.
A proposito Come ti chiami e che professione svolgi?

“Che tecnica!! Dovrei aprire una scuola di matrimonio”

Mentre lei prende fiato lui approfitta, finge di salutare qualcuno, si libera dell’opprimente peso che grava sulla sua spalla destra e cionco corre via. Ma ha la soddisfazione di gridare mentre si sente ormai al sicuro:
“Gennariello e faccio l’idraulico”

La donna più bella del mondo rimane un po’ perplessa, poi alza le “Spalluzze” graziose e volta lo sguardo in cerca di altre prede.
La stagione della caccia è aperta.


Giurano, ma io non ci credo.
Giurano che è stata vista in una bettola di pessimo livello con tre scimmiotte mentre diceva.
"Io sono bella, alta, intelligente, affascinante e delizisosa, leggiadra e magra, mi presento bene, conosco il galateo e dò un tocco di classe al menù",
Nessuno di quei tre cafoni ha alzato la capa dal piatto, dove con le mani e la faccia sporca di sugo se magnavano la pizza alla maniera della sinistra.
Questo è incerto ma
qualcuno l’ha vista sorridere benevola.

Col. Douglas Mortimer

giovedì 16 agosto 2007

PAROLADY, UNA DONNA DI PAROLA


Più che una donna dalle mille facce è una donna dalle mille bocche. Questa deformazione è secondo me l’unica spiegazione scientificamente plausibile che possa spiegare l’enorme quantità di parole al minuto che lei riesce ad effondere. In paese è conosciuta come parolady. Sia per il suo hobby preferito, quello di aumentare la temperatura terrestre a furia di emettere frasi a ripetizione, sia perché ama attirare l’attenzione maschile con i suoi abiti attillati e provocanti. E così una volta richiamata la preda, la stordisce a forza di discorsi interminabili, come un eterno comizio apolitico.


E’ una macchina sforna - parole perfetta. Riesce a parlare senza interruzione per giorni e giorni. Anche durante il sonno continua a parlare, con somma gioia dei mariti-martiri che si sono susseguiti nel suo letto. Vanta all’attivo ben 12 matrimoni, perché in fondo è una donna di chiesa e non si è mai concessa ad un uomo se non dopo un matrimonio celebrato a dovere. Dei suoi 12 mariti, 8 sono fuggiti senza lasciare traccia, 1 si è fatto prete asserendo di aver ricevuto un’improvvisa vocazione e gli altri 3 sono morti in circostanze più o meno misteriose. La gente, con un pizzico di cattiveria, insinua che i poveruomini si sono tolti la vita estenuati dal suo furore verbale. E, di fatto, il dubbio sorge spontaneo, come direbbe Lubrano.


Ippolito, il primo marito, è stato trovato la mattina del 25 dicembre, all’indomani di una veglia che doveva essere stata particolarmente lunga e stressante per lui, con un pancione enorme, disteso in cucina. Aveva ingurgitato 10 panettoni e bevuto tutte le bottiglie di spumante omaggio. Teodoro, esperto ciclista, è stato trovato in un dirupo con la sua bicicletta. "Tragico incidente di un ciclista imprudente", decretarono le autorità. "Gesto disperato di un marito estenuato", decretò il popolo. Nicodemo, navigato marinaio, cadde inspiegabilmente a mare in una giornata di bonaccia tutto aggrovigliato a degli enormi pesi da sub. Ma la nostra eroina non si perdeva d’animo. E dismesso uno strettissimo lutto (strettissimo ed elasticizzato) riprendeva la sua caccia, a base di sguardi ammalianti e frasi ipnotizzanti.

I suoi discorsi quasi mai sono caratterizzati da un filo logico, ma l’importante per lei è emettere parole. E’ come se si dovesse svuotare di un fardello. E per riuscirci ti deve fare una testa così di chiacchiere. “Na capa tanta”, per dirla con le parole dei suoi concittadini. I suoi discorsi si aggrovigliano in maniera inestricabile. L’inesperto malcapitato che si approccia a lei per la prima volta cerca di tener testa alle sue mitragliate orali. Ma ben presto deve arrendersi. Lei, non solo non da spazio alcuno di controbattuta (al limite puoi annuire con qualche cenno meccanico del capo) ma per di più accavalla i suoi racconti in maniera casuale, come nel gioco dell’associazione d’idee.


Mentre sta raccontando del padre morto cadendo da una scala, questo termine le fa ricordare di aver incontrato per le scale una sua vecchia amica che portava un cappello rosso … rosso come il fuoco … fuoco … incendio … “hai visto quanti incendi stanno scoppiando in questi giorni?” e, senza aspettare risposta, giacché ogni sua domanda è retorica, continua “ho conosciuto un pompiere che ha salvato un cane; ah sai il mio cane è stato avvelenato; sicuramente è stata la pescivendola, qualche volta va a finire a pesci in faccia con lei; a proposito quasi quasi faccio un pesce spada alla griglia per pranzo che non ho mai nessuna idea meno male che mi è venuta; che ti stavo dicendo? Ah sì … domani penso di andarmene un po’ da mia sorella è tanto sola su quella collinaccia sperduta; le vado a fare un po’ di compagnia e …


Tu intanto ti sei già perso sulla scala. Le sue parole ti hanno intontito al punto che le scale sono diventate scale mobili a chiocciola e inizi a sentirti girare la testa sempre più forte, sempre più veloce tanto che sei costretto a invitarla a sederti al tavolino di un bar. Lei senza risponderti, ma continuando la sua tortura di parole si siede. E’ la tua condanna! L’hai invitata tu e non solo devi pagare il conto ma sei costretto anche a far finta di andarle dietro con interesse. Quando lei si accorge che non la segui più si ferma per un attimo e tu in uno scatto di gioia involontariamente alzi lo sguardo verso di lei. Tac! Riattacca la macchinetta.

Mi hanno raccontato che parolady, di cui ormai in paese s’ignora il nome di battesimo, non è stata sempre così. Figurarsi che da piccola il suo gioco preferito era quello del silenzio e vinceva sempre lei. Era così taciturna che la maestra l’aveva soprannominata la muta. La maestra era una donna cattivissima, del tutto inadatta a ricoprire il ruolo di educatrice di bambini. Era una zitella acida, insoddisfatta del lavoro e della vita. Trattava i bambini malissimo, salvo che fossero figli del sindaco, vice-sindaco o del commissario di polizia. Addirittura, nell’ora di educazione artistica passava tra i banchi e stroncava le fantasie dei bimbi accusando i loro disegni di essere indegni scarabocchi sconclusionati.


Parolady faceva dei bellissimi castelli colorati con dame a quattro zampe e principi al galoppo di serpenti enormi. La maestra furibonda la sbeffeggiava impietosamente: “La muta ha anche il cervello che non funziona, ci manca solo il ciuccio che vola in questo disegno!” E tutti i bimbi a ridere a crepapelle. E’ lì che nacque la vendetta, secondo alcuni. L’offesa bambina meditava di fargliela pagare, alla maestra e a tutti gli abitanti di quel postaccio senza fantasia. E da allora rispondeva alle interrogazioni dell’insegnante con soluzioni scombinate ma proferite con tal eloquenza e con tono di voce così risoluto che fu sempre premiata col massimo dei voti. “Giulio Cesare chi era? Era quello che ha inventato il cibo in scatoletta per gatti, animali che amava tanto. Ma la moglie Caina, sorella minore di Caia, era gelosa dei gatti al punto che li avvelenò tutti. Allora il buon Giulio dovette andare a conquistare altri territori per trovare nuovi amici gatti ed è così che divenne imperatore. Che poi in latino significa colui che possiede tanti gatti. Poi un bel giorno Nerone, il suo gatto più bello, tutto nero, si trasformò in un uomo e …”


“Va bene, va bene. Basta così”. Rispondeva la maestra frastornata. E così andò proseguendo negli anni il suo delirio discorsivo. La sua ossessione per il monologo con pubblico non pagante, ma che pagherebbe volentieri per farla tacere. All’esame di licenza media diede il meglio di sé sfoggiando conoscenze interdisciplinari, che collegavano la scoperta dell’America al diluvio universale, l’impollinazione alla palpitazione, le equazioni all’equitazione. Il tutto condito con declinazioni nella cultura contadina di cui era fiera portatrice. E allora Cristoforo Colombo diventava un allevatore di piccioni viaggiatori che mandò una nidiata in giro per il mondo a spedire messaggi deliranti sulle rotondità della terra, finché Noé non fu incaricato da Monsignor
Ferdinando di allagare il mondo per dimostrare la sua piattezza e…

A parolady non fu possibile frequentare le superiori. Infatti, tutti i presidi del comprensorio si allearono, sotto la spinta del sindacato dei professori, per respingere la domanda dell’anomala studentessa. L’allora signorina si dedicò quindi alla ricerca di un marito che la sistemasse. Si piazzava ogni giorno al bar “La zavorra”. Ordinava un cappuccino, si sedeva a un tavolino, possibilmente il più centrale per tener sotto controllo la piazza, e scrutava il passeggio per ore e ore. Fu lì che conobbe Ippolito, giovane elettricista che stava montando le illuminazioni per la festa del patrono. Il giovane fu incantato dalle gambe sinuose di parolady, che accavallandosi e scavallandosi distoglievano l’attenzione del giovane dalle interminabili disquisizioni della ragazza. Purtroppo, di lì a poco il ragazzo avrebbe fatto la fine che vi ho detto.

All’inizio che conoscevo parolady mi capitò, imprudentemente, di offrirle qualche passaggio in vespa. Lei mi si avviluppava addosso per meglio raggiungere l’orecchio destro in cui sparare violentemente i suoi sproloqui. Come pietre lanciate da una fionda. Le prime volte abbozzavo anche un minimo di partecipazione. Ma lei stroncava ogni iniziativa alzando il tono della voce, che già copriva abbondantemente il rombo del motore e lo schiamazzo urbano. Mi bombardava, mi rincoglioniva. A tal punto che la vespa iniziava a sbandare. Io iniziavo a correre all’impazzata per poterla sloggiare prima possibile. E nella disperata corsa lei si aggrappava sempre più forte e mi strillava sempre più vigorosamente nell’orecchio, ormai anestetizzato, le sue frasi senza senso. La sua voce stridula mi dava ai nervi, più di un vigile urbano, più delle strisce blu, più del traffico e dello strombazzare delle auto.

“Ieri mi è capitata una cosa pazzesca. Ero dal parrucchiere … Ah, lo sai che lui si è rimesso con l’ex moglie. Ma io non mi capacito, quella l’ha cornificato con mezzo paese e lui ci si rimette insieme?! Ah, cosa avrà quella sciacquetta? Bah! Ti dicevo … ero dal parrucchiere, c’era anche la signora Filomena … che è di nuovo incinta. Con i tempi che corrono fare 7 figli è una pazzia. A proposito di pazzi sai che mio fratello è completamente impazzito: vuole vendere la casa a degli sconosciuti per 4 soldi. Ed io dove me ne vado a vivere? Con i prezzi che ci sono oggi in giro! Sarà colpa dell’euro? Fatto sta che non si può comprare più niente da quando hanno fatto st’euro. Solo i commercianti si sono arricchiti. Il mio salumiere s’è fatto una villa che non finisce più. Che poi la moglie, che è insegnante, guadagna una miseria. E che dovrei dire io? Con quel poco di pensione del mio caro estinto… Che poi le vogliono pure diminuire. Io la prossima volta non ci vado proprio a votare. Tanto, sono tutti una manica di mariuoli. Ah, guarda là c’è il sindaco… parli del diavolo e spuntano le corna. Che pure lui di corna c’è ne ha! Quello si doveva sposare con me poi ha trovato quella cosa di niente della figlia dell’armatore Russo. Che non è lo stesso che fa la pasta. No, te lo dico perché a volte uno si confonde. Quelli sono cugini, ma di secondo grado. Quelli della pasta si trasferirono a Gragnano dopo la guerra. Uh! Mò che mi ricordo che bel panuozzo mi sono mangiata l’ultima volta che ci sono stata. Però che traffico per arrivare. Non ti dico! Che poi fanno le domeniche a piedi. A che servono vorrei dire io? Qua nessuno va più a piedi. Solo io. Solo io. E tutti c’hanno due, tre macchine. Come la Cina. Quella si sta sviluppando e deve inquinare a noi. Non solo ci vengono a rubare il lavoro. Che mo’ tutte le maglie sono fatte dai cinesi. Io non c’ho niente contro questi qua ma mi fanno schifo e poi sono tutti uguali sembrano fatti con lo stampino. Se non che, ti dicevo ...


Olè, siamo arrivati! 5 kilometri ma mi sono sembrati 500! Anche la mia cara vespa è provata! Parolady mi ha raccontato tutta la sua vita e quella di tutto il paese. Ma come fa? E il bello è che pure una volta smontata dalla vespa continuava a parlare. Uno per educazione la lascia fare. Errore! Bisogna stroncarla. Lo imparai. E me ne schizzavo via senza manco salutarla. In lontananza la sentivo ancora dare fiato alle sue corde vocali.

Ma parolady ha raggiunto il suo obiettivo. Si voleva vendicare e ci è riuscita. Oggi in paese sono tutti pazzi. C’è Filodoro che gioca a monopoli con le sue 3 auto. Le sposta e le risposta. Le parcheggia nelle maniere più bizzarre e fantasiose possibili. Unico obiettivo: conquistare tutto il vico per poi lanciare la grande sfida alla Piazza. Geremia, lo schiattamuorti, a ogni funerale si veste da Zorro e spara fuochi d’artificio. Ma questo è il meno. Ogni volta che incontra un amico, sadicamente, gli chiede “Come stai? Ti senti bene? Memento Homo! Memento! Quia pulvis es et in pulverem reverteris!” E se ne va via sghignazzando. Rosamunda si è invaghita delle suore dell’Annunziata e le fa una corte spudorata. Regali, rose e serenate sdolcinate. E tra l’altro si dice che sia ricambiata dalle sorelle che, dal canto loro, se ne vanno in giro vestite come conigliette di Playboy con sai rosa e scollacciati. Agatina va camminando con le mani al cielo dicendo di aver visto la luce. Il marito, poveraccio, non può accendere una lampadina in casa ché la moglie sobbalza e urla “Ecco, di nuovo. Sia ringraziata Nostra Signora Vergine Enel!”. Eusebio, il capotreno, si diverte in dirottamenti e scherzi vari. I turisti sono le sue vittime preferite. Devono andare a Pompei? E lui li dirotta su Terzigno. Ognuno è stato colpito dalla maledizione. Parolady si voleva vendicare e l’ha fatto. Non c’è che dire, è stata una donna di parola!


Br1


martedì 17 luglio 2007

NAUFRAGIO IN CALMA PIATTA


NAUFRAGIO IN CALMA PIATTA

Ci trovammo verso l’Equatore. Il vento calò e nessun santo o demone ci aiutò a portare avanti la barca e a giungere dove la follia del nostro Capitano voleva condurci.
I miei compagni di notte iniziarono a ballare e a finire bottiglie di rum, il capitano fisso sul timone cercava con occhi il suo spettro, la pazzia che lo aveva condotto. E noi con lui, fin lì-.
Lo fissava, ci parlava,ci faceva l’amore, lo corteggiava. E noi con lui, fin lì.

E il comandante è pazzo
E avanza nel peccato
E il demone che è suo
Adesso vuole mio.
Brinda con il sangue
All’odio ci convince
Che se è la sua la barca che vince
Dev’essere la mia.

La follia s’impossessava dei miei compagni al calare del buio.
Di giorno crollavano. E io con loro.

Eravamo stanchi del niente, le provviste iniziavano a diminuire e l’acqua che ci circondava a perdita d’occhio era diventata preziosa come qualcosa di cui cominciavamo ad avere una lontana memoria.
E pure era lì, ci guardava e ci invitava.
Niente.
Giorni senza movimento, la mattina che cedeva il posto alla sera che si allontanava al sopraggiungere della notte e nulla che ci facesse percepire un pur piccolo spostamento. La notte si spegneva e cedeva il posto al sole.
E noi lì.

E il vento non alzava
E il mare imputridiva
Legati ad un sol raggio
Tutti presi in ostaggio
Avanzavamo lenti
Senza ammutinamenti.

Improvviso iniziò l’affanno. Non mi ero mosso dalle sartie dove riposavo l’intero giorno eppure il cuore inizio a battere un po’ più forte.
Non ci feci caso.
Poi ancora di più. Poi ancora e iniziò l’affanno dopo una breve corsa. Ma non mi ero mosso.
All’inizio seguii curioso questo cambiamento come una novità ma poi mi premurai di allontanarmi, di sfuggire da esso.
Mi alzai e cominciai a camminare sul ponte della barca. Mi seguiva.
Più veloce, non mi lasciava di passo.
Correvo e gridavo, poi mi fermavo e il cuore continuava a battere forte. Allora mi fermavo e sedevo. Continuava.
La nave era ferma, immobile in un punto che non sapevamo non avendo più il movimento come coordinata di riferimento.
Il cuore si fermò. Caddi in un sonno buio come la notte. Senza sogni e senza stelle.

NAUFRAGHI.
Di nuovo quel battito e di nuovo alzarmi e camminare. Adesso gli avevo dato una veste, un’ufficialità. Lo avevo riconosciuto Adesso quel battito apparteneva a me, era mio e dovevo vincerlo.
Mi resi conto del poco spazio che avevo. Solo metri e poi il niente. Nessuna possibilità di fuga. Ero prigioniero, in un infinito mare, di poche tavole di legno marcio. E la follia dei miei compagni con me.
Camminavo e gridavo, mi tenevo la tesa, correvo. Mi seguiva.

Improvviso, nel cielo grigio di vapore, l’Uccello che Porta Bene.
Si alzò il vento, camminavamo di nuovo. Eravamo liberi. Ero libero.
Ma il cuore continuava a battere fortissimo, non so se per l’emozione di essermi liberato da quella prigione o per la paura di caderci di nuovo. Adesso avevo paura che si rompesse, di morire.
Gli altri erano felici e gridavano, il Comandante immobile con gli occhi di fuoco guardava la materia del suo odio divenuta carne che gli ballava avanti agli occhi, solo a lui.
Fissai i miei occhi nei suoi. Ebbi paura. Più paura adesso di prima, Adesso lo guardavo da uomo libero e avevo paura.
Chi era l’oggetto di tanto furore.
Il cuore batteva forte che si stava per rompere e la nave andava, quando per interrompere questo terrore lo colpii.
Colpii il domandante, l’alabatros. L’uccello cadde.

Mi sentii subito calmo, il cuore si era placato, i battiti regolari.
Rialzai gli occhi a quelli del mio Capitano e una cosa che non so si ruppe dentro.
Aria di fuoco nei polmoni, le gambe inanimate non mi mantenevano.
Ero io.
La materia di carne che quell’uomo odiava, solo che non lo sapeva ancora e aspettava che accadesse qualcosa per dare un volto all’immagine buia che lo tormentava da anni. E l’equipaggio con lui.

“E venne dall’acqua
Venne dal mare
La penitenza
Dall’amaro del mare.

E il comandante avanza
e niente si può fare
vuole la morte, la vuole affrontare.

E il comandante è pazzo
E avanza nel peccato
E il demone che è suo
Adesso vuole mio.
Brinda con il sangue
All’odio ci convince
Che se è la sua la barca che vince
Dev’essere la mia.

E si fermò il vento. La barca si arrestò e rimanemmo muti ad attendere la maledizione che presto giunse in forma di vela. Avevamo tutti paura, tranne uno, cieco di rancore.

Coro: Oh Matri mia
Salvezza prendimi nell’anima
Oh Matri mia
Le ossa nell’acqua


E giunse su un vascello nero nella notte più scura. Due figure.
Morte e Vita-in-Morte sul quel ponte a giocarsi il destino dei marinai.
Morte se li prese uno per uno lasciando solo me all’avversario Vita-in-Morte
Che decise dei miei futuri giorni.
Non un pezzo di terra, non un fiore, non una lacrima per loro. Solo i fuochi sull’alto del pennone, fuochi fatui. Fuochi Sacri.

E gli occhi non videro
Non videro la luce
Non videro la messe
Che altri non l’avesse.
E il cielo fece nero
E urlò la nube al cielo
E s’affamò d’abisso
Che tutti ci prendesse


E gli uomini spegnevano
Spegnevano il respiro
Spegnevano la voce
Nel nome dell’odio che tutti ci appagò.
Il cielo rigò
Di sbarre il suo portale
Il volto di fuoco dentro imprigionò.

Lo spettro vedemmo
Venire di lontano
Veinire per ghermire
Nero di Dannazione
Vita-in-Morte Vita-in-Morte
Quello era il suo nome.

Coro: Oh Matri mia
Salvezza prendimi nell’anima
Oh Matri mia
Le ossa nell’acqua

“Prendi anche me! Ti prego! Traversare il fiume dei dannati e andare incontro alla maledizione eterna, ma non lasciarmi qui!”
Rimanere da solo sul legno fradicio di queste assi nel mezzo del mare senza un alito di vento e senza acqua senza spazio o movimento a guardare negli occhi la mia maledizione, i serpenti che emergono dalle acque fino a vederli belli ad amarli e a pregare per loro.


Anime bianche
Anime salvate
Anime venite
Anime addolorate.

Che io abbia due soldi
Due soldi sopra gli occhi
Due soldi per l’onore
Due monete in pegno
Per pagare il legno
La dura voga del traghettatore.

Vieni Occhi di Fluoro
Vieni al tuo lavoro
Vieni spettro del Tesoro
La vela tende
Il vento se la prende
La vela cade le Erinni allontanate
E accesi sui pennoni
I fuochi fatui
I fuochi alati della Santissima
Dei Naufragati.

Coro: Oh Matri mia
Salvezza prendimi nell’anima
Oh Matri mia
Le ossa nell’acqua

Acqua, Acqua, Acqua in ogni dove
E nemmeno una goccia, nemmeno una goccia da bere

Questa è la ballata
Di chi s’è preso il mare
Che lapide non abbia,
né ossa sulla sabbia
né polvere ritorni
Ma bruci sui pennoni
Nei Fuochi Sacri
Nei Fuochi Alati
Della Santissima dei Naufragati


Coro: Oh Santissima dei Naufragati
Vieni a noi che siamo andati
Senza lacrime, senza gloria,
Vieni a noi per noi pietà.

Fino ad amare la maledizione a pregare per essa a vederne la bellezza. Solo allora sarò libero, ritornerò in terra a raccontare a voi, amico dello sposo, questa storia di vento e mare, di dannazione e di pietà.





Da
La ballata del vecchio marinaio 1798 S.T. Coleridge
S.S. dei Naufragati Vinicio Capossela
Col. Douglas Mortimer