martedì 27 febbraio 2007

IL FUNERALE DI UNA MOTOCICLETTA



Ho fatto, penso, una cretinata di cui sono molto orgoglioso. E che mi ha reso un pò triste.
Me ne sono andato in giro per la Punta Campanella con la moto nera che andava l'ultima volta per strada e che, da poche ore è in demolizione.
Senza documenti, senza targa e senza assicurazione era un rudere di un antico destriero nero, abbandonato per anni nel garage e che abbiamo deciso di trasportare in una campagna per demolirlo.
Quindi, appena tornato a S. Agata ho incontrato Geroge e abbiamo tirato fuori la vecchia moto che ha visto la strada e la luce della primavera per l'ultima volta.
Era nera, sporca vecchissima e bellissima. Non partiva così l'abbiamo trainata e spinta.
Avanti al pub vicino casa ci siamo fermati per l'ultimo saluto d'onore; è uscita Karina, che tu conosci ed ha rotto una bottiglia di birra sul serbatoio poi, lentamente abbiamo preso la via del posto del suo estremo riposo. Sentivo i suoi occhi sulla mia nuca, e sul montante del sedile posteriore: Easy Rider!
Era affascinante e malinconico. Forse una delle cose più romantiche che ho fatto negli ultimi tempi, per chi ama le motociclette.
La vedevo ogni giorno andando a prendere la mia Tigre grigia. Il manubrio rivolto alle macchine che manovravano nel garage; isolata nella sua posizione d'angolo, lei osservava silenziosa e forzatamente immobile. I cavi di gomma mi sembravano a volte vene dove il sangue c' è ma è fermo, i tiranti del freno e del cambio tendini immobilizzati in una tensione che, a dispetto di quello che appariva, non conosce riposo.
Insomma ne ricevevo sempre l'idea di un animale pronto e che aspettasse il suo momento per ritornare in vita.
Sembrava cosciente, lei, la moto, di essere caduta in una congiuntura negativa e che, da un momento all'altro dovesse riprendere a correre per le nostre strade e ad essere strumento e testimone di nuovi amori, illusioni, patimenti, sofferenze e, di nuovo, amori, illusioni, patimenti....
Sembrava attendere. Paziente e attenta alla vita che le scorreva affianco, forse invidiosa, ma sicura della sua rinascita, solo un pò preoccupata per un ritardo che, certo giudicava inspiegabile. E con tante storie da raccontare chiuse nei suoi due cilindri disposti a V.
Che avrà pensato quando lo strofinaccio le carezzava il serbatoio ed il sellino? Quando quattro mani d'improvviso, dopo anni, l' hanno strappata da quella posizione velocemente, violentemente e col fare frettoloso e distratto di chi ha, poi, ben altro da fare....
Era sabato sera; i ragazzini al bar del paese le hanno fatto capannello, mentre noi prendevamo il caffè e scherzavamo con la ragazza che ci sta. Si sentiva toccata, palpata, desiderata, addirittura bella, ricoperta di una strana dignità e del decoro della polvere da garage, luogo di mistero da dove veniva fuori.....
Non riesco a pensarla invece, quando ha capito di essere prossima alla sua ultima ignominiosa dimora, tra oche e galline, coi bambini che la cavalcano e i cani che pisciano sui suoi bei cerchi cromati, coperti di ruggine.
Quindi ritorno in me e ti continuo a raccontare

Il funerale di una motocicletta

Mi sentivo entusiasta di questa avventura e anche un pò triste perchè avevo la sensazione di partecipare ad un'esequie.
Dovevo essere particolarmente bello, penso, tutto nero sulla vecchia moto nera americana, perchè si voltavano tutti a guardarmi. O forse pensavano ad un ex ragazzo con ex capelli, su una ex moto, -manubrio all'americana, i fregi Harley Davison, la targa alta e lo schienale al sellino-. Sulle strade della Campanella!!!
Ci hanno incrociato anche i Carabinieri e ci siamo sentiti come, sedicenni, io a Posillipo, George a Buenos Aires -il sangue si gela-, e tu fai finta di niente, tieni duro, e fino a che non scompaiono dallo specchietto rimani immobile sul sellino, pronto a mollare tutto ed attento alla prima traversa dove buttarti se quelli cambiano idea e vogliono vedere che cazzo ci fai su una moto senza targa....
E poi la ruggine, le cromature opache, il grasso e l'olio, mi facevano venire l'idea di sangue che scorreva velocemente nelle vene di chissà quale ragazzo, con chissà quale donna alle sue spalle ed aggrappata a lui tanto tempo prima, ed era una memoria che avevamo deciso di smantellare; sabbia, mare, neve forse, speranze amori o corse nel vento delle notti estive tra una discoteca ed un cornetto alla mattina...
Non lo so. Forse che tredici gradi di vino rosso si fanno sentire in ritardo, forse che sono contento e mi piace il mio nuovo look idrocefalo, forse sento la primavera.
Tornando dicevo a George che non sa se prendersi la Jeep che gli è sempre piaciuta, o la panda per risparmiare 1000 Euro, che noi abbiamo la fortuna di essere rimasti ancora ragazzini rispetto ai 44enni.

Non abbiamo ottenuto la direzione della Upim alla nostra età, facciamo fatica ad offrirci una birra e nessuno di noi se lo sarebbe aspettato. Ma guardiamo per una volta il bello.
Ancora per pochissimo. Siamo ragazzini!!



Clint Eastwood.
Fasciato di pelle nera, con stivaletti neri a punta e lunghi capelli scuri e lisci; senza borchie né tatuaggi perché un supereroe è sempre superiore alle mode ed ai tempi.
Ha occhiali specchiati, una gomma americana in bocca, è solo e non ride.
Immobile. Solo i capelli ondeggiano in orizzontale nello spostamento d’aria che la moto produce nella sua corsa.
La bella moto nera e il moderno cavaliere. Immobili nel loro strano mutamento. Più che correre sulla lunga striscia di asfalto nel deserto (Coast to Coast) sembrano trasferirsi nello spazio poiché già si sono trasferiti nel tempo.

Il volto del cavaliere è immobile, come tutto il suo corpo, la moto è statica nella corsa veloce, la strada è un tapis roulant sotto le ruote.
E’ lunga, nera ed uguale. Nulla cambia nel deserto americano.
Molto raramente una stazione di servizio: i serpenti nella teca di vetro, la sabbia che aggredisce l’asfalto, il vecchio che dorme sulla sedia a dondolo all’ombra e il Dodge ancora più vecchio, in putrefazione in un angolo di

America

Nel bar-saloon, camionisti, ragazzi e ragazze che bruciano la loro vita bionda come una Marlboro che arde piano e senza voglia e passando di mano in mano.



Col. Douglas Mortimer

sabato 24 febbraio 2007

IL QUALUNQUISTA


IL QUALUNQUISTA



Dopo aver viaggiato molto e vissuto un po’ all’estero, la mia amica ha deciso di ritornare nel luogo natio e stabilirsi, vicino ai genitori a Seiano, sul monte Faito.
Ha aperto una palestra e si è sistemata la casa di famiglia.
Una domenica mattina, mentre giravano alcune scene di una soap pomeridiana di grande audience, suonano alla sua porta.
Lei apre e si trova davanti un uomo di aspetto piacevole, fermo, sorridente, con le mani in tasca e la faccia di: “Guarda che fortuna ti è capitata stamane!”
Si guardano per un po’. Lui continua a mantenere l’ espressione di uno che ti sta facendo una sorpresa ma inizia ad essere un po’ in imbarazzo.
“Dica!?” “Ma come non mi riconosce?
Lei va con la memoria verso il suo passato remoto, alla ricerca di un amante perduto, di qualche amico del suo ex marito. Poi si smarrisce di nuovo; non le avrebbe dato il lei.
“Io sono, Beo”
“Beo!?”
Adesso lui è veramente in imbarazzo. Non gli era mai capitata una cosa del genere. Ma tu guarda stà campagnola, manco la televisione tiene.
“Ma come, sono Beo. Beeo. Beo della serie ……..”
“Ah!”
Sul collo di lui calano torrentelli di sudore freddo ma lui mantiene il suo atteggiamento sorridente e padrone. La poverina non lo sa ma poi le sua amiche le diranno della buona sorte che le è capitata proprio oggi.
“Dica!”
“Cosa posso fare per lei?”
La situazione precipita
“Farmi entrare e offrirmi un caffé, intanto”. “?”

Nel salottino Beo le racconta i suoi successi e la sua popolarità televisiva. Lei ascolta con quella compiacenza di chi non gliene fotte niente ma per ospitalità asseconda. Intanto cerca di capire dove vuole arrivare. Arriva a pensare che vogliano ingaggiarla come attrice nella soap e decide di accettare; tutto sommato è un’esperienza…..

Beo viene al dunque. Lui ha qualche ora libera e siccome è un “uomo di immagine” e deve curare il suo fisico, le chiede di aprire la palestra apposta per lui quella domenica mattina.
Addio soap.

Ma la mia amica è una tipa un po’ testarda. Da tempo aspettava una giornata come quella; i figli lontano, nessun appuntamento e una mattina intera da dedicare con calma alla casa.
Cerca di spiegarglielo, ma lui pure è testardo e, per giunta non è abituato a non ottenere quello che vuole.
“Questo allocco! Mò gli lascio le chiavi della palestra, lui ci va, fa quello che gli pare e poi torna e mi dà un sacco di soldi. Mica male!”
Gli lascia le chiavi. Lui esce e lei riprende i suoi lavori domestici con maggiore allegria. Pensa alla scopa elettrica che voleva comprare. Adesso potrà almeno dare l’anticipo…..

Dopo circa due ore Beo ritorna, sorridente, preciso, inoltre lavato, pettinato e perfetto come suo solito.
La mia amica lo accoglie con calore questa volta, pensando all’elettrodomestico. Gli dice per compiacerlo che le vicine l’hanno telefonata. Nel paese si è sparsa la notizia che “BEODELLASERIE…. ha bussato alla sua porta” e arriva al punto di chiedergli anche degli autografi da conservare.
Per un “folletto” si può fare!
Lui è tutto ganzo. Si muove da padrone, guarda le foto sul mobile e le commenta. Poi, sicuro di farle cosa gradita, le dice che pure dei tecnici sono andati con lui in palestra.
Lei abbozza pensando a due rate.
Non solo erano in quattro -ormai Beo ha perso il controllo e le dice tutto-, ma hanno usato lo stereo poi si sono dimenticati di riporre i CD nelle custodie. Hanno fatto tutti la doccia e, visto che c’era il frigo hanno preso qualcosina, ma solo qualcosa.
“Ah! Signora, nel bagno è rimasto un mezzo pantano e qualche asciugamano a terra. Ci scusi ma andavamo di fretta. Lei capirà. Tra mezz’ora dobbiamo girare”.

Poi le chiede quanto deve.
Lei fa un errore e gli dice: “Faccia lei”. Fino ad ora era stata perfetta.
Lui sorride, poi mette lentamente la mano all’interno della giacca, caccia un bel portafogli apre e comincia a contarne il contenuto in banconote. Conta, riconta, ripassa e sorride. Poi caccia 5 EURO e li passa alla mia amica.
Lei rimane fulminata dallo stupore. Non riesce a fare niente. L’unico gesto le nasce automaticamente dal sistema nervoso. Non transita per il cervello; allunga la mano e li prende. Muta.
Beo sorride di nuovo, poi velocemente guadagna la porta e scende.
La mia amica con 5 Euro in mano che non riesce a riporre, va verso il balcone, ancora sotto un lieve stato di shock. Senza sapere che cosa sta facendo, scosta la tendina si accosta ai vetri e vede Beo che scende piano adesso, guardandosi intorno per scoprire qualcuno che lo ammira da qualche finestra
Si avvicina alla limousine, che lo stava aspettando, apre la porta di dietro. L’autista se lo porta via.


In un villaggio della Punta della Campanella, nella piazza principale c’è una lapide che recita così, più o meno.
In questa piazza, un giorno fausto, la Regina Margherita di passaggio con la sua carrozza, decise di fermarsi e di conversare amabilmente coi villani.
La cittadinanza grata, pose.




Col Douglas Mortimer

venerdì 23 febbraio 2007

STRISCE PEDONALI

La vidi sulle strisce pedonali mentre scansava un motorino, portava calze nere, una sciarpa a quadri ed una minigonna blu.
Mi chiese….hai da accendere? La fiamma del mio accendino subito brillò….
Mi dette una mano la pioggia, avevo l’ombrello e lei no. Mi disse… sei simpatico, perché non mi inviti a cena? Dove vuoi che andiamo bella gli risposi e lei…dove vuoi tu per me va bene. Andammo allora verso casa mia.
Casa mia era un po’ fredda, glielo dissi, ma lei mi rispose…non importa amore, come stufa ho te! Feci un piatto di pasta ed aprii una bottiglia di vino, ma al secondo bicchiere mi domandò….allora, che facciamo con i vestiti? Ed io che non ho mai avuto altra religione che il corpo di una donna, quella notte mi persi dentro lei.
Ero solo, quando il giorno dopo il sole si alzò ed io mi svegliai abbracciando l’assenza del suo corpo nel mio letto. Il brutto non fu solo che se ne era andata con il mio portafogli ed il notebook, il peggio fu che se ne andò portandosi via anche il mio cuore….
Di notte pelle di fata, alla piena luce del giorno donna crudele, maledetta nottata….. ed io che mi credevo Steve Mc Queen!
Se su qualche passaggio pedonale la incontri, dille che le ho scritto questo; portava calze nere, una sciarpa a quadri ed una minigonna blu.

Indio

mercoledì 21 febbraio 2007

IL SAGGIO CHE VOLO'

IL SAGGIO CHE VOLO’ ma una volta sola


Se ne accorse per caso. La mattina alzandosi dal letto si rese conto che ad ogni passo saliva. Arrivò al soffitto, poi al piano di sopra poi ancora più su, fino ad uscire dalla casa dalla parte del tetto e cominciare ad andare verso l’alto.

Salì verso il cielo, senza fatica, come camminando, poi trovò una nuvola poggiò i gomiti e si affacciò.
Vide l’Italia, e l’immaginò come una donna procace col busto un po’ in avanti (per effetto dei tacchi), il ventre nella Baia di Napoli e il bel culo a mandolino verso il promontorio del Gargano.

Vide ed immaginò le strade come vene dove milioni di globuli-macchine rosse e bianche giravano senza pausa. Le autostrade come arterie e le altre, vene e capillari. Vide le ferrovie come nervi che si tendono quando due treni stanno per scontrarsi e si rilassano quando, incrociati, passano oltre. Le traiettorie degli aerei, verso Nord, come pensieri.
E vide quello che faceva e che pensava la gente nell’intimità delle proprie case. Le cose più terribili e più dolci. Ma si soffermò su quelle brutte.
Vide ladri e assassini, metronotte, politici e preti e mafiosi e studenti universitari. Operai e imprenditori, ragazzini correre dietro una palla e uomini con la bava alla bocca a gestire conti esteri.

Poi una voce tonante dalle nuvole gli disse:
“HAI VISTOOOO, NOVELLOO MESSSIIIA!!!!
ADESSOOO VA’ DISOCLOOO!
VAIII DALLA TUUUA GENTEE E RACCONTA TUTTOOO. E METTILIII IN GUARDIAAAAA.
MA, ATTENIZIONE. LO PUOI FARE UNA SOLA VOLTAAAA E DEEEVI PARLARE A TUTTTTIIII INSIEEEEMEEEE.”

“O Dio!, ma come faccio?!”
“CAZZIIII TUOOOIIII”.


E si ritrovò a casa.
Così uscì, andò in banca prosciugò il conto, poi dal cartolaio e perse tutti i notes, le matite le gomme e i temperini che aveva. Poi al Supermarket e prese tutte le scatolette con scadenze lunghe, si ritirò in casa, abbassò la tapparella per non capire quando fosse giorno e quando notte e cominciò a buttare giù appunti.
Scriveva e dimagriva. Il volto si scavava e cresceva una barba bianca e i capelli, intorno alla chierica, diventavano lunghi. Dopo un poco cominciò a ad assomigliare a Mosè.
Scriveva, scriveva, scriveva, e il pavimento si riempiva di mozziconi di matita e di fogli strappati. Finalmente ne venne fuori e questo Proclama alla Nazione fu pronto.
Adesso doveva capire come fare a dirlo a tutti in un sola volta.
TV.
Era l’unica. Quindi cominciò a studiare le reti private nazionali e le televisioni di Stato.
Passava giornate intere a fare lo zapping. Guardava tutto, si divertiva e si faceva una cultura. (fu così che diventò saggio, fino a poco prima si intendeva solo di macchine da gelato).
Più andava avanti e meno riusciva a scegliere. E doveva stabilire quale fosse la televisione e il programma più degno per il Proclama alla Nazione che aveva preparato.

Un giorno non diverso dagli altri prese la decisione.
Questa arrivò come il virus al computer. Non te lo aspetti, non sai perchè proprio in quel momento o chi te lo manda. In un attimo è lì.
In un attimo prese la decisione. Andò in bagno, si rase la barba e si tagliò i capelli.
Si fece una lunga doccia, poi mise il vestito marrone e preso il fascicolo, si diresse deciso verso la porta.


Va verso il bar. Bar “Amici dell’Atalanta”

Apre la porta ed entra, Intorno a lui si stabilisce il silenzio. Forse per l’aura che gli conferisce il Mandato o perché è così deciso, o magari è solo un tipo allampanato, magrissimo che nessuno vedeva da tanto tempo.

Si avvicina al banco e chiede un caffè. Amaro. Doppio. Lo beve nel silenzio assoluto poi, rompe la tazzina e guadagna l’ attenzione (a dire il vero già tutti gli occhi erano puntati su di lui).

Si rivolge al suo oratorio con queste parole:
“In Verità, in Verità Vi dico: Siamo messi male assai!”.
Poi riprende il fascicolo e esce nell’atmosfera di ghiaccio. Arriva al centro del viale. E’ Aprile e c’è un bel vento teso. Prende tutte le carte e le getta alle sue spalle I fogli bianchi volano e vanno alle finestre delle case. Ad ognuno un pezzo di un discorso che nessuno intenderà mai. Ma siamo stati avvertiti!
Lui si volta guarda soddisfatto il volo delle carte, con un ghigno..….

“Evaffan…



Col. Douglas Mortimer

lunedì 19 febbraio 2007

IL SOLE E LA FABBRICA


Il sole e la fabbrica

Un giorno di pioggia Luigi si rende conto che nella sua fabbrica manca il sole.
Così marca visita, va dal suo Dio e gli dice:
Dio, dammi il sole che lo devo portare dentro la fabbrica!
Dio ci pensa su un poco e poi gli risponde: Luigi, ma se io ti dò il sole con che cosa illumino il mondo?
Con una lampadina , risponde Luigi, con una lampadina grandissima.
E Dio disse: ci penserò, torna tra una settimana.

Prima settimana.
Luigi torna dal suo Dio e lui gli dice:
Va bene portami la lampadina più grande del mondo e io ti darò il sole che tu porterai sulla terra e metterai nella tua fabbrica.
Luigi torna in paese e prende una settimana di malattia in fabbrica per pensarci su.

Seconda settimana.
Luigi decide di parlarne con i suoi compagni. Loro lo ascoltano e dicono: Bello! Ma dobbiamo capire come si costruisce la lampadina più grande del mondo.
Allora, noi studieremo giorno e notte, riuniti in nel gruppo dei sette operai più saggi dei sette raparti delle nostre sette fabbriche. Studieremo per sette giorni e sette notti e poi ti faremo sapere come costruire la lampadina più grande del mondo che tu porterai al tuo Dio che lui sostituirà al sole che poi ti darà e che tu porterai in terra poi in fabbrica.

Terza settimana.
Luigi torna dai suoi compagni. Loro, riuniti in seduta straordinaria-plenaria-congiunta.
Il consigliodeisettesaggideisetterepartidellesettefabbriche, si espresse così.
Luigi, noi rifiniremo la lampadina che ti farà il vetraio. Lui costruirà l’involucro e noi metteremo i filamenti e il bulbo.
Così Luigi andò dal vetraio e gli disse:
Vetraio, mi costruisci un’ampolla da portare in fabbrica per fare la lampadina più grande del mondo che io porterò al mio Dio che lui sostituirà al sole che poi mi darà e che io porterò in terra poi in fabbrica. Vetraio, me la costruisci. Si?
Il vetraio ci pensa, poi dice: torna tra sette giorni e ti farò sapere.

Quarta settimana.
Luigi torna dal vetraio e lui gli dice: va bene ti costruirò l’ampolla più grande del mondo ma poi tu come la trasporti? Trovati un carretto altrettanto grande e fatti prestare il carretto adatto a trasportare un’ampolla da portare in fabbrica per fare la lampadina più grande del mondo che tu porterai al tuo Dio che lui sostituirà al sole che poi ti darà e che tu porterai in terra poi in fabbrica.
Luigi decide di prendersi ancora un’altra settimana di aspettativa e di pensarci su.



Quinta settimana.
Luigi dal trasportatore: trasportatore, mi presti il carretto adatto a trasportare un’ampolla da portare in fabbrica per fare la lampadina più grande del mondo che io porterò al mio Dio che lui sostituirà al sole che poi mi darà e che io porterò in terra poi in fabbrica. Trasportatore, me lo presti. Si?
Il trasportatore ci pensa un pò sù e poi gli dice che gli presterà il carretto, ma il suo più grande carretto non è abbastanza grande.
Quindi –gli dice-, vai dal falegname e fatti costruire un pianale di trasporto adatto.

Luigi va dal falegname e gli chiede: Falegname, mi costruisci un pianale per allargare il carretto adatto a trasportare un’ampolla da portare in fabbrica per fare la lampadina più grande del mondo che io porterò al mio Dio che lui sostituirà al sole che poi mi darà e che io porterò in terra poi in fabbrica. Falegname, dimmi che me lo costruisci. Me lo costruisci. Si?
Il falegname vuole pensarci un po’ su. Quindi gi dice di tornare tra una settimana.

Sesta settimana.
Luigi va dal falegname e questi gli dice che gli avrebbe costruito il pianale se egli gli avesse portato la legna necessaria per un’opera così grande.
Quindi Luigi si reca dai tagliaboschi e li implora. Mancate solo voi!!!!!
Tagliaboschi, mi tagliate tanta legna da portare al falegname in modo che lui mi possa costruire un pianale per allargare il carretto adatto a trasportare un’ampolla da portare in fabbrica per fare la lampadina più grande del mondo che io porterò al mio Dio che lui sostituirà al sole che poi mi darà e che io porterò in terra poi in fabbrica. Taglialegna! Non mi tradite proprio voi! Taglialegna! Dovete dire di si.
Mi dite di si. Si?
Torna tra una settimana e ti faremo sapere.

Settima settimana.
Luigi torna dai taglialegna che gli consegnano tanta legna da portare al falegname “In modo che lui mi possa costruire un pianale per allargare il carretto adatto a trasportare un’ampolla da portare in fabbrica per fare la lampadina più grande del mondo che io porterò al mio Dio che lui sostituirà al sole che poi mi darà e che io porterò in terra poi in fabbrica”.
Quindi Luigi si reca dal falegname che gli amplia il carretto che il trasportatore gli presta per andare dal vetraio e prendere l’ampolla di vetro che porta ai suoi compagni di fabbrica così gli costruiscono la lampadina.


Luigi e la lampadina più grande del mondo.
Ma come portarla in cielo dal suo Dio?
Pensa e ripensa ripensa e pensa, ripensa ripensa e pensa; si addormenta.
Angelo, mi presteresti
Le tue ali in modo che io possa trasportare la lampadina a Dio?

Così Luigi parte per il cielo con due ali bianche ed una lampadina al neon stretta sotto la pancia.
Dio sostituisce la lampadina al sole. Lo fa la notte e nessuno se ne accorge, manco le guardie notturne, perché lui sa il momento che escono dalle osterie ubriache. Eh! Lui vede tutti!!

Luigi torna in volo sulla terra con il sole tra le mani.
Si ferma dai taglialegna e gli lascia un raggio di sole per avergli tagliato tanta legna,
Si ferma dal falegname e gli consegna un raggio di sole per avergli allargato il carretto,
Si ferma dal trasportatore e gli regala un raggio di sole per avergli prestato un carretto,
Si ferma dal vetraio e gli dona un raggio di sole per aver costruito l’ampolla per fare la lampadina più grande del mondo che lui ha portato al suo Dio che ha sostituito al sole che gli ha consegnato per portarlo in terra ed in fabbrica.


Arriva in fabbrica dove lo attendono tutti gli oprerai suoi compagni e anche il consiglio dei sette saggideisetterepartidellesettefabbriche che per l’occasione si erano fatti crescere delle lunghe barbe bianche da parata e da attesa.
Così la fabbrica di Luigi ha un grandissimo sole alla parete.
Ma se contiamo le settimane sono sette, e nessun padrone accetta che un operaio non produca per sette settimane, anche se gli porta in cambio il sole.
Così, in una bella giornata di sole, Luigi riceve una lettera che si chiama “Lettera di messa in cassa integrazione”. In pratica “Tra sette settimane te ne devi andare!”.

Non tutte le favole finiscono bene e così, sette settimane dopo, la fabbrica, l’unica al mondo con il sole alla parete, riapre senza Luigi, e Luigi rimane disoccupato.

Ma non tutte le favole finiscono male. E così dopo una settimana di disperazione, in una bellissima giornata di sole, Luigi decide che oggi è troppo bello per avvilirsi, e che oggi, se lui si dispera avrà perso anche questa giornata che nessuno gli ridarà più.
Così decide di andare da tutti gli artigiani che lo avevano aiutato.

Quindi, siccome tutte le favole finiscono bene, Luigi passerà tutta la sua vita sette settimane con il vetraio, imparando a lavorare il vetro, sette settimane dal trasportatore, girando per i villaggi vicini e raccontando la sua straordinaria avventura, sette settimane dal falegname imparando a trasformare gi alberi in mobili e sette giorni tra i boschi con i suoi amici taglialegna.
E sette giorni tra i suoi amici i sette saggideisetterepartidellesettefabbriche
Che quando va lui si fanno trovare con lunghe barbe bianche di parata e Di noia?



Col. Duglas Mortimer

domenica 18 febbraio 2007

La Vespa ed il Vespino. Romanzo in 32.345 episodi. Primo episodio.


C'era una Vespa bianca, molto carina, di marmitta tonda e parafanghi molto sexy. Si chiamava Special ed era una 50cc. Tutti i giorni metteva in moto il suo scoppiettante motore e faceva un giro per Sorrento, bella, soda, agile con le sue tre marce....tutti i Vesponi quando passava lei si voltavano a guardarla, suonavano il clacson, sgommavano, e lei?... lei niente!! era già immotorata e non aveva occhi che per un Vespino rosso. Era un vespino mezzo hippy, la carrozzeria ammaccata in vari punti e un bel rosso fuoco, la sella sgangherata, le ruote ormai lisce per le mille avventure ma il motore era ancora ottimo e girava che era una meraviglia...a volte lo vedeva sfrecciare sulla statale con la sua canna di sae 20/50 in bocca, il fumo di scarico al vento....era bellissimo, ma lui non la guardava impegnato com'era nelle sue folli e libere corse. Avrebbe mai avuto l'occasione di scambiare due imballate di motore con lui?

Il prossimo episodio si intitolerà: Ma quando ti fermi una volta, mi prendi per la manetta del gas e mi porti a Massalubrense a fare una sgommata insieme?

sabato 17 febbraio 2007

77


“Distenditi, vuota la mente di tutto quello che la occupa, rilassa i muscoli, sciogli tutti i nodi. Respira profondamente. Senti il tuo respiro, seguilo, dentro le braccia, le mani, le gambe; senti come pulisce, porta via, risana. Immagina il tuo respiro che spazza via tutte le impurità. Lascia che ogni parte del tuo corpo sprofondi nel pavimento, lascia liberi tutti gli organi, immagina che i reni si adagino sul pavimento, fai si che la pelle sui fianchi si stacchi dalle ossa e nell’angolo interno dell’occhio lascia che sorga una profonda gioia. Lasciati andare. Sei disteso sulle ginocchia di Madre Terra. Resta lì, nello spazio dell’universo, senza fare nulla, senza pensare a nulla. Sciogli quel groppo che hai in gola per qualcosa che non sei riuscito a fare. Via, via, ammorbidiscilo. Sei felice anche se nessuno ti capisce. Sei tu che, con tutta la tua energia, lasci andare tutto ciò che ha preso posto nel tuo corpo, ma che non appartiene al tuo corpo. Via, via…. “
(Tiziano Terzani).




77

Stamatina il cielo è così grigio che devo accendere la luce.
Sarà perché è ancora presto, ma questa giornata non promette niente di buono, almeno dal punto di vista atmosferico. E’ un cattivo augurio, quasi quasi rimando…..
Sento i soliti rumori in casa, attutiti dai tappeti, dai parati, le tende. Ceramiche e il metallo dei cucchiaini, l’odore solito di caffè, latte e cera per i mobili. La polvere e il respiro notturno nella mia piccola stanza.
“Valerio vieni è pronta la colazione, altrimenti farai tardi”: Mia madre mi chiama…
Raggruppo i libri sulla scrivania, li stringo nella mia molla arancione. Sopra c’è scritto grande e con la Bic Vc e il mio nome..
Li raggiungo in tinello. E’ una camera senza finestre e con sole tre pareti. La quarta è stata tolta per unirla direttamente alla cucina.
Mica andrai con la vespa? Non vedi che cielo, scuro ci sarà una tempesta.
E se è così mi riparo sotto un ponte, in un negozio.
Torno in camera e rimango indeciso avanti all’armadio. Oggi incontro Monica e glielo chiedo. Voglio essere carino. Decido per la felpa rosso scuro con Snoopy sul tetto della sua cuccia, il casco, gli occhiali da aviatore e le orecchie al vento: Barone Rosso.
La indosso, metto la mia bella giacca a quadri ed esco.

Che cazzo di giornata… Quasi quasi rimando….. Già piove e io sarò sulla mia vespa special a inzupparmi nel traffico del rione. Ma tra dieci minuti salirà Monica. Sentirò le sue tette attraverso il cappotto aperto, il maglione. L’ombrello lo manterrà lei e continueremo in questa mattina senza colore e senza ossigeno dentro al traffico verso il liceo.
La mia amica: color terra di katmandù, cioè marrone ma con una punta di rosso, il sellino lungo per sembrare più grande e il motore preparato. Non per correre….no. Per non passare da coglione.
Arrivo al portone del suo palazzo, non la busso, mi aspettava. In ansia più di me. Niente ombrello.
Quant’è carina! Piccola, biondina, ben piantata e solida a terra, ma non grassa. Ha i lineamenti marcati e la faccia gentile; belle gambe non troppo lunghe ma sode e doppie, il sedere un po’ grande, le tette piuttosto piatte e quasi inesistenti.
Porta gli occhiali cerchiati d’oro e i suoi occhi neri da miope sono ancora più belli. Quando parla si avvicina molto e questa è la sua arma segreta di seduzione. Chissà se ne è consapevole. Ha sempre la fascetta che le passa per la fronte e le scende nella coda di capelli biondi, alla fine delle perline brillano tra i suoi ricci. Porta vestiti indiani lunghi, a volte dei jeans strettissimi che le disegnano il bel culo, la sua parte migliore.
Oggi ha il suo pantalone nero fasciato che mi fa impazzire, il maglione del padre e niente reggiseno.

La reazione è immediata. Scendo e faccio guidare lei. Mi metto dietro e aderisco il più possibile. E’ bravissima sulla vespa, e va come una pazza per farmi stringere di più.
La pioggia calda e i suoi nastrini mi sferzano la faccia.
Le passo le braccia sotto il cappotto sui fianchi, poi un poco più su con una mano. Mi ha detto la verità. Sento le sue costole sotto il maglione leggero, poi la mano piano risale verso un lieve e timido gonfiore. Libero. Mi piego e poggio la testa sulla sua spalla.
- Fermiamoci. Dobbiamo parlare di noi, ricordi? Me lo avevi chiesto.
- Ma così farai tardi, che hai alla prima ora?
- Ma che ti prende Valerio? Prima tante storie e tanti misteri, e adesso? Ma cosa vuoi da me? E’ una vita che mi accompagni a scuola poi a casa, alla palestra, alle riunioni di collettivo. Ormai nessuno mi viene più dietro. Tutti pensano che sono la tua ragazza. E allora? Che vuoi da me?
- Monica mettiamoci insieme. Dai Monica davvero, mattiamoci insieme.

Com’era facile! E’ la prima volta nei miei diciotto anni che pronuncio questa frase. Avevo una paura fottuta e adesso l’ ho detto e mi sento libero.
Ma quale libero. Mi sono fregato. L’ ho persa. Adesso la perdo, la perdo. Mi manda affanculo e non sentirò più il suo profumo esagerato che rimane nei corridoi, il suo accento del nord, le sue perline, le sue mutandine bianche nella trasparenza dei vestiti indiani…. Dio mio che ho
- Ma porca puttana SI!!!!!!
Mi cade il mondo addosso. Mi inarco e mi stringo fortissimo a lei. Un bacio sulla sua guancia da dietro
-Ho idea che ci sono due o tre cose che ti devo spiegare, Valerio.
Dario ci affianca col suo mezzo.
- Mica entrerete vero? C’è la riunione giù in centro, dobbiamo accompagnare il corteo dei metalmeccanici, contano su di noi. Ci vediamo fuori per bloccare i cancelli. Vi eravate scordati, Eh?
- Cazzo, cazzo cazzo. Porca puttana, cazzo!!!. Monica a certe cose ci tiene molto….

Fuori scuola il solito casino di quando forse non si entra.
Già stiamo litigando e ancora non siamo arrivati.
– Ma non capisci? Io ho la maturità e non posso saltare le interrogazioni!
- Tipico dell’ individualista, ma bada che io ci vado al corteo..
- Si ma non col mio mezzo. Dietro a te mi ci siedo solo io.
- Perché tu credi che nessuno è disposto a darmi un passaggio, ad accompagnarmi?
- Và! vaffanculo Monica, ti vengo a prendere oggi per il collettivo. Io entro. Ti amo, credo.
- Anch’io, ma ne sono certa. E non passare da me, vengo con Elena, col suo Ciao. Ciao.
Stronza! E guai se non lo fosse!!! Bacio, lungo e plateale, avanti al liceo, perché dovevano vedere tutti e che la smettessero di ronzare intorno ad una ragazza impegnata.

Il pomeriggio passa Bruno da me. Andiamo allo scasso del quartiere per comprare un telaio di moto. Ne approfittiamo per prenotare anche le sospensioni anteriori e posteriori, e le ruote. Ci manca solo il motore, sellino, manubrio e serbatoio e abbiamo il nostro mezzo.
Passiamo da Ricordi. Abbiamo i soldi e dobbiamo comprare l’ LP per il gruppo. Dario ha messo di più quindi ha diritto a mantenere il disco e al nome in evidenza sulla copertina. Scegliamo RED dei King Crimson. Gli piacerà sicuramente quel lungo brano strumentale…. Abita vicino a me, quindi andiamo a prendere la mia macchina e a casa sua.
Nuova 500 è scritto in corsivo, io col pennarello avevo aggiunto “era”. L’auto di mia madre, del ’67. Dieci anni portati benissimo e adesso una specie di puttana. Passa facilmente di mano in mano e viene affittata agli amici per un paio d’ore.

- Auguri, Vally, so di te e di Monica
Dice Dario quasi a sé stesso mentre legge competente i titoli.
- Si, ma ho idea che le cose non si mettano un granchè bene. Mi sono fidanzato con lei per scopare un pò, ma mi pare che al di là di qualche bacio il maglione non va via, la gonna non si alza e io mi sento peggio di prima-.
Dario e Bruno sono una specie di santoni nel gruppo. Anche perché un po’ più grandi, con i capelli lunghi come tutti noi, ma con i baffi spioventi, il fumo, quello sicuro, e contatti con gli universitari, gli operai e, sembra, anche in ambienti extraparlamentari.
Comunque sono sempre loro che parlano, propongono e portano avanti il collettivo.

Si guardano. Glielo diciamo? Ma si, dai di lui ci si può fidare.
- Senti Valerio, con Monica e con tutte le ragazze del gruppo non avrai molto di più di quello che già stai ottenendo ora. Parlano, accorciano le gonne, urlano ai cortei, poi non la danno, ma neanche te la fanno vedere. D’altra parte vengono da famiglie come le nostre, e hanno il terrore del sesso. Si mettono con noi perché appariamo trasgressivi ed aggressivi, ma, in fondo siamo impauriti come loro. Le trovi a volte nello stesso letto. Dormono insieme, dicono, con la benedizione delle famiglie.
Fai come noi. Noi ci fidanziamo ogni tanto e scopiamo con le compagne del consiglio di fabbrica o con le universitarie, quando ne abbiamo voglia. –
Abbiamo una stanzetta, un bagno, un letto e i nostri dischi. Siamo fino ad ora sei, sette. Dividiamo il fitto e ci passiamo le ragazze, le canne.. Loro ci stanno sempre perché ad ogni donna piace essere insegnante, la prima; godono fino alla libidine al pensiero che sei lì, inesperto e loro sacerdotesse del sesso che fanno quello che vogliono.
E noi fottiamo anche loro. Diciamo a tutte che è la prima volta. Pensaci. Vienici-.
-Non adesso Dario, comunque grazie. Adesso c’è Monica.
Si guardano.

Pomeriggio, collettivo. La sede è il garage della nostra compagna ricca e chiatta, per cui nessuno se la filava, ma lei ha messo il garage, la base ed è diventata un mito. Paola, e tutto quello che fa viene imitato. I cento adesivi sulla sua vespa bianca, le pezze al culo del jeans, i maglioni rubati al padre, la cravatta ad uso di cinghia ecc.
Nel locale c’ è lo stereo di Selezione, un piatto e ben sei manopole. Spaziale! Ognuno lì vicino si sentiva il re dei DJ. Cuscini, il solito poster di Ernesto “il Che”, l’immancabile arcobaleno alla parete, la lampada architetto gialla sul tavolo da campeggio a doghe, cestini, il piccolo frigo. Facevamo volantini per tutti e ognuno ci doveva un favore.
Oggi dobbiamo decidere sull’occupazione del biennio. Le nostre richieste: abolizione del latino, lettura dei quotidiani in classe, introduzione di un’ora di teatro la settimana, lezioni di religioni e fine del monopolio della religione di stato. Autointerrogazioni e autovoto!

Ciclostile, testo.
Il Collettivo studenti in lotta per il liceo collettivo Punto Rosso
“Chiama tutti gli studenti e i professori e i genitori alla lotta per l’occupazione del liceo dello stato padrone e servo delle potenti multinazionali.
Lottiamo dunque, per l’autogoverno del nostro Istituto affinché diventi veramente uno spazio aperto di aggregazione e di vita vera per tutte le generazioni che si vogliono confrontare ed esprimere tra loro!
Abbattiamo i potentati e le gerarchie, fermaimo lo strapotere dello stato demagogico e democristiano e prendiamoci la nostra scuola, e che sia davvero nostra!
In particolare.
Ore 17.00 incontro ai cancelli dell’istituto e entrata di forza abbattendo le ipocrite recinzioni che ci separano da una scuola che già è degli studenti
Entrata in scuola e assemblea permanente in palestra con lettura dei punti all’ordine del giorno.
Spazio libero a tutti i compagni per un dibattito formativo su: autogestione, autointerrogazioni ed autovoto .
Presìdi saranno predisposti ai cancelli ed un bivacco sarà organizzato nella scuola. Portatevi i sacchi a pelo. Abbasso il vicepreside, e
Hasta la victoria. Siempre!!!”

La sera ci ritroviamo con altri gruppi in un locale autogestito. Tavolacci, neon, panche. Tanta luce e poca pulizia. Pizze e panini. Beviamo birra e mangiamo qualcosa. Ma prima di tutto, giriamo tra i tavoli e incontriamo amici, scambiamo esperienze, impariamo la chitarra o il flauto e ascoltiamo gli altri suonare. Scambiamo spartiti.
Monica è vicina a me, col suo vestitino indiano e quel profumo, sempre un po’ esagerato. Scherziamo, ci provochiamo, ogni tanto un bacio, siamo abbracciati. Poi andiamo via, e nella 500, sotto casa sua allungo una mano sotto la sua gonna, tra le sue gambe. Si avvicina, ci baciamo, siamo stretti e io risalgo. Mi lascia fare ma non partecipa. E’ a disagio, scontenta e prova a trasformare quella esplorazione in un gesto d’amore, con i suoi baci, con le sue carezze e tante inutili parole d’amore. Le sue mani, quelle mi parlerebbero d’amore, non mi cercano piuttosto si aggrappano con la scusa di stringermi cercano un porto, una difesa.
Continuo, entro dentro, o almeno tento attraverso le calze, gli slip, ma lei improvvisamente stringe.
-Aspettiamo, Valerio, non ora.
–E quando, ma ti rendi conto, stiamo o non stiamo insieme?
-Ma non sono ancora pronta, mi vergogno, non mi trovo, qui in machina in mezzo alla strada, come - Come che? Sei una ragazza fidanzata, hai sedici anni, non possiedi una casa, che pensi stiano facendo le tue compagne eh? E dove, secondo te, e poi sai quante tue intime amiche già sono state in questa macchina? –
Piange. Mi abbraccia e piange. –Non ora, ti prego, se mi vuoi bene…-
Non volevo arrivare a questo ma la desidero, e lei lo deve accettare, per me è l’unico modo.
- Dobbiamo provarci Monica, e ci riusciremo, come tutti gli altri. Tutto sta a trovare la nostra strada, l’intimità che ci manca ora.
La bacio piano, poi con passione e la mano già scende….Mi ferma, sorride. E’ contenta. Un altro piccolo bacio. Ciao.
Chissà che staranno facendo Dario e Bruno! Dove saranno ora!
Nessuna del collettivo è mai entrata nella mia 500, se non per farsi accompagnare a casa.
Che fare? Torno a casa, mi fermo in salotto con mio padre, guardiamo un film. Gli vorrei chiedere: come hai fatto tu a diciotto anni? Quale espediente, che strategia, e se piangeva poi, che dicevi? Guardiamo il film, poi buonanotte. Ma con dolcezza.

Ore 17 cancello, scuola. Siamo già in tanti. I grandi, venuti da fuori ci incoraggiano e ci dirigono coi loro megafoni. L’alfetta blu chiaro col lampeggiatore ci spia e vorrebbe intimidirci.
La tenaglia forza il lucchetto, il vice (quel gran nazi) ci guarda in posa mussoliniana, parla al telefono e si tiene ben protetto nel suo ufficio. Entriamo. Mi fa specie il casino. Lo stesso della mattina alle 8.30. La stessa mandria che entra belante infelice ed allegra, parlando ad alta voce, per vincere l’angoscia delle cinque ore… Sottobraccio i sacchi a pelo, in mano i nostri volantini.
Il servizio d’ordine, esterno, ci guida nella palestra. Me l’ero immaginata diversa questa occupazione. Sembra quasi che non ci appartenga più. Tutto dei grandi.
Ci sono operai, universitari, addirittura un sindacalista. Il prof di filosofia. Mi avvicino a lui, ho bisogno di sentire che qualcosa in questa avventura è mio. Ha i giornali e mi sorride, pensa le stesse cose, ma è lontano. Per lui questo è lavoro; il suo particolarissimo concetto di scuola, ma sempre scuola, lavoro.
Gli altri, loro sono i padroni! Si muovono come a casa e noi a capannelli parliamo ad alta voce e ridiamo forte, appoggiati ai muri. Ci guardano come cose, le cellule, la massa, siamo gli studenti, i liceali, i contenitori vuoti che ora saranno riempiti di sogni (gli stessi validi per tutti), di ideali (unici ed universali) di bene, da contrapporre al male, di colore rosso…
Per il resto tutto come me lo aspettavo. Neon, palestra, pavimento nero, tavoli messi ai margini. Ragazzi che collaborano: Il “banchetto” del caffè. Quello dei panini, un improvvisato fornellino con la pentola per la pasta e fagioli, poi il banco della birra, lo stereo Selezione, le casse Montarbo, quelle dei concerti e il vinile, Inti-Illimani, Nueva Cancion Cilena 2 a volume altissimo. Scommetto che dopo verrà Contessa. Luca IVd dietro il giradischi, con un cuffia fantastica di essere un DJ.
Il palco, e tutti noi seduti per terra, appoggiati al compagno di dietro. Io sono sulla gonna di Monica sdraiato sulla sua morbidezza: ventre, pancia, tette. Mi carezza e mi pettina. Prova, Prova, SA SA SA, e parole in distorsione.
Nessuno le ascolta. Per noi è come un party, solo che non siamo a casa di qualcuno con le sedie alle pareti, lo stereo sul tavolo tondo, le patatine, i panini e le luci psichedeliche.
Siamo a scuola, ma ci comportiamo come ad una festa. Non li capiamo e così li snobbiamo. COMPAGNI, AMICI, FRATELLI, e tanti urli, minacce, intimidazioni per richiamare la nostra attenzione. Volumi altissimi, parole e musica che non riescono ad uscire dalla palestra, rimbombano sui vetri e ci ripiovono addosso. E noi che non capiamo un cazzo, ridiamo e ci divertiamo come pazzi.

Non nominare il nome di Dio,
Non nominarlo invano.
Con un coltello piantato nel fianco
Gridai la mia pena e il suo nome.
Ma forse era stanco, forse troppo occupato,
E non ascoltò il mio dolore.
Ma forse era stanco, forse troppo lontano,
Davvero lo nominai invano.

Già a questo siamo persi.
Sono stretto in un gruppo di ragazzi seduti sul pavimento di questa palestra, siamo sudati e felici. La musica porta l’estasi il fumo apre i cuori e la mente alle parole della canzone più bella: “Il testamento di Tito”.

Primavera ’77, occupazione del liceo. Le parole dovrebbero arrivare dritto al cuore, le prendiamo e le perdiamo, persi noi stessi nella confusione e nella delusione del nostro essere, dei nostri sogni confusi e romantici, delle nostre ragazze così emancipate e tanto impaurite, nella desolazione di sentirci grandi ma ancora così legati alle famiglie , alla scuola, smarriti negli schieramenti, bloccati dalle bandiere e dalle nostre ideologie che fanno passare per una strana censura ogni pensiero alla ricerca di una condivisione globale prima di diventare parola..
Naufragati tra la musica psichedelica e il rock romantico, i testi, gli spartiti, i collettivi e le riunioni, i pomeriggi nelle stanze pregne di fumi dolciastri di una canna passata di mano in mano, di bottiglia in bottiglia, mentre una chitarra prova timidi accordi di una canzone di protesta..
Abbiamo un’idea che ci unisce ma non sappiamo qual è.

Ma nel vedere quest’uomo che muore,
Madre! io ho provato dolore.
Nella pietà che non cede al rancore,
Madre! Ho trovato l’amore.

Inatteso arriva il silenzio. Guardiamo tutti il ragazzogrande che canta. I fidanzati si abbracciano alcuni si prendono per mano. Un brivido corre per tutte le nostre schiene.
Con la testa poggiata sulle tette di Monica seduta dietro me, mi addormento profondamente.


Col Douglas Mortimer

venerdì 16 febbraio 2007

SAPORITI SONO I SIGARI FIORITI

SAPORITI SONO I SIGARI FIORITI

No grazie, il Bentelan non lo voglio!
Come stai? C’è vita a Palazzo?
Forse la logica del rovescio
Essendo esente da conseguenzialità
È più diretta.
Che sollievo non essere così responsabile!

Attingere direttamente dall’incoscienza
No, non è stata una via semplice….

No, non lo è stata per niente.
La paura mi ha attanagliato per molto tempo .
La paura di non molare le redini,
La paura di perdermi, di cadere, di morire.

E adesso?
Com’è leggero l’abbandono al battito cardiaco collettivo!

Saporiti sono i sigari fioriti!
Prezioso flusso di follia, argento vivo di diretta esistenza.

Il Santone che bussava alle porte per dirci
Che il sacrificio è il seme della spiritualità,
ieri era in osteria.
Bevevo vino nascosto dietro il suo cappuccio.
Mi ha detto che non era vero niente –ma io lo sapevo già-.
Per questo me lo ha detto.

Saporiti sono i sigari fioriti.

Sta solo fingendo di dirti che sei bella anzi bellissima.
Perché te la prendi? Dovresti essergli grata del suo preoccuparsi di evitarti
Ogni piccola sgradevole realtà.
Qualcuno che ti filtra la vita attraverso un poliedrico motivo deformante.

Grazie amico che ti prendi la briga
Di digerire la realtà al posto mio.
Le tue parole sono rassicuranti e di bello aspetto,
Le tue parole fanno bella figura,
Le tue parole sono profumate,
Le tue parole sono…
…Gradevoli…
…Seducenti…
…Avvolgenti…
….Mielose, sotto sotto un po’ striscione.

Saporiti sono i sigari fioriti.



Melusina

LA BILANCIA DELL'AMORE DEI GATTI



Disegno a mano-estemporanea (su carta riciclata)



La bilancia dell’amore dei gatti.

Ieri ero da Mariolina, la mia amica gattofila.

Aveva litigato con Lei poco prima del mio arrivo.

Eravamo nel suo salotto, su due divani ad angolo, parlavamo di gelosie feline e cercavamo di interpretare i loro comportamenti, tentando di aiutarci a trovare delle soluzioni.

Lei è uno splendido gioiellino nero; piccola di statura con due grandissimi occhi gialli.
Di certo più bruttina dei meravigliosi gatti d’angora, bianchi e neri che Mariolina ha.

Lei era seduta su un tavolino al lato del mio divano con le zampe anteriori allargate, gli occhi bassi.
Sembrava decisamente assente; era presa da profonde e privatissime riflessioni ed intense meditazioni.
Non riuscivo a staccarle gli occhi di dosso.
Sembrava stesse organizzando qualcosa.
Noi parlavamo e lei era sempre lì, ferma, con il suo piano. Aspettava che arrivasse il momento giusto.

Improvvisamente e senza nessun motivo apparente Lei si muove.
Viene sulle mie gambe, ma non si siede. Rimane in piedi e guarda Mariolina.
Doveva fare qualcosa di molto importante e voleva prendere la forza da me.
Poi passa sui braccioli dei nostri divani. Le manine su quello di Mariolina, i piedini sul mio.
Era l’ultima esitazione. La guarda fisso negli occhi.
Ora non può più tornare indietro.
Velocemente passa sulle gambe di Mariolina e scappa via dall’altra parte del divano.
Poi guarda Mariolina per vedere se ha capito.

Voleva dirle:
Va bene abbiamo litigato, mi sono offesa ed ero arrabbiata con te.
Adesso mi è passata e ti puoi riprendere il mio amore.
Adesso non ti do il mio amore.
Adesso ti do il permesso di provare a riconquistarlo.

Lei si chiama Sabina.



Col Douglas Mortimer

giovedì 15 febbraio 2007

LA QUESTIONE ORTOFRUTTICOLA

(foto tratta dal sito di Angie, grazie ad Angie..)

LA QUESTIONE ORTOFRUTTICOLA


Città/ANNO 1950
Nome dell’alunno-a


Problema

Levatosi di buon’ora, il contadino Giacomino s’incammina per il mercato ortofrutticolo con i suo carretto, il cavallo e tre grossi sacchi pieni di 357 mele il cadauno.
Saluta la moglie, si mette a cassetta e si avvia.
La notte prima ha piovuto abbondantemente così sulla via per la città grande il carretto sobbalza nelle buche coperte dalla pioggia e dalla fanga.
In una di queste, perde l’equilibrio e si apre un sacco, facendo cadere N° 28 mele annurche. Il contadino Giacomino si ferma e torna sui suoi passi tentando di raccoglierne alcune. Possiede solo il grembiale per poterle trasportare, così ne riesce a prendere due terzi.
All’avvicinarsi del mercato, il contadino Giacomino incontra il bandito Ciruzzo Parascandalo –napoletano-, detto ‘O Raggiungere.
Il bandito Ciruzzo Parascandalo ferma il carretto e impone al contadino Giacomnino una tangente di circa tre ottavi del carico che riuscirà a vendere al mercato.
Mesto per quest’ incontro il nostro colono continua il suo viaggio, fermandosi all’osteria per consumare la sua colazione (pane e frittata) ed un bicchiere di buon vino rosso insieme ai suoi compari, raccontando loro la sua sventura con il bandito e della tangente che grava sul carico.
I commensali sono sette e lui regala a coloro, tre mele il ciascuno.

Nel contempo, ‘O Raggiungere si avvicina al carretto di Giacomino e sottrae dai due sacchi intieri N° 27 frutti.
Poi fugge, si nasconde tra gi sterpi e si gode la faccia di Giacomino quando si accorge del maltolto.

Cammina, cammina tra buche e pozzanghere , riesce a giungere al mercato.
Vende N° 20 Kg mele circa da ciascun sacco, per un soldo e cinque lupini ogni etto, e il rimanente – il 39.8% lo ripone in un unico contenitore, quindi ricarica il carretto e prende la via del ritorno.

All’incrocio detto dei Bravi, incontra Gennarino Parascandalo che esige il dovuto, quindi, con ogni forma di seduzione lo convince a comperare per 36 soldi e trecento lupini un biglietto della riffa al vicino mercato del bestiame.
Il povero Giacomino vi si reca convinto di poter vincere Sofia Loren (primo premio) ma quasi viene arrestato per possesso di biglietti falsi della Lotteria del Regno e ci vuole tutta l’abilità dell’Avv. Postiglione Travaglio-Intruglio per cavarlo dai guai.
Nel frattempo ‘O Raggiungere prepara un altro scherzetto al nostro simpatico villico:
Si traveste da gendarme e, con un rotolo di pergamena ferma il povero all’incrocio detto dei Capponi.
“Sua Maestà Serenissima, Reclama, Esige e Pretende un Dazio Reale di un soldo e tre lupini per ogni mela trasportata sul tuo carretto! Questo è detto”.
Al nostro eroe non rimane che pagare mentre il bandito intasca i soldi sghignazzando.

Finalmente torna a casa, depone il carretto, bestemmia le strade, la pioggia, il re, la riffa e Sofia Loren, poi sfoga la sua amarezza sulla moglie, rompe tutti i piatti tirandoglieli contro, prende a calci il cane, si ubriaca e, finalmente il nostro simpatico eroe si addormenta con la testa sul tavolo.


Problema

Adesso, miei cari piccoli bambini, prendete il lapis blu, la matita rossa la gomma da cancellare e la biro e scrivete sul vostro quaderno di aritmetica; dopo aver fatto le cornicette:

Quante mele ha venduto il contadino Giacomino?
Quanti soldi e quanti lupini riesce a portare a casa?
Quante mele gli sono rimaste da vendere? (considerando che i tre quinti di un sacco lo ha dovuto lasciare all’Avv. Postiglione Travaglio-Intruglio)


E, soprattutto
Di chi figlio è il bandito, Rag. Ciruzzo Parascandalo?
(Luogo ed orario di lavoro della mamma …tipo di pneumatici usati…)

Svolgimento



Città (piccola mela) /ANNO 2010
Nome dell’alunno-a

Problema

Il Rapper Jack, siccome è piccolo di statura detto Jack ‘o Min appena terminato il suo ultimo pezzo, si mette il berretto al contrario, prende il suo >Scooter modello >Monster e s’incammina verso il mercato delle masterizzazioni e della diffusione al nero.
Durante il tragitto incontra il noto mafioso Ciruzzo Parascandalo –figlio, detto ‘O raggiungere, del Clan dei PIcciottidiferro.
Il camorrista gli impone la tangente del 27,36% sul venduto al nero e quindi lo lascia andare.
Il nostro Rapper riprende il viaggio fermandosi per un >Brunch al >McDonald’s on the road, ma Ciruzzo entra nel locale mangia tutti i tipi di panino e tutti i gelati alla macchinetta e poi esce lasciando il conto da pagare al povero musicista.

“Un’altra bella giornata!” pensa Jack, e riprende il suo viaggio.
Arriva al mercato e, dopo un >Breefing col >Sales Manager e il >Target Chief duplica e vende 237 copie, guadagnando Euro 2,35 a copia, di cui deve il 27% al centro di masterizzazione clandestino, nella persona del cinese Fu-Chin-Chin.
Il suo pezzo, dal titolo
“SE-DIO-POSASSE-IL SUO-SGUARDO-BENEVOLO-SU-DIME-AVREI-LA-FIDANZATA-FORMOSA-E-BIONDA-NATURALE-MA-DEVO-ESSERGLI-ANTIPATICO-PERCHE’-LA-MIA-DONNA-E’-UN-WATER/CLOSED-GIALLO-PLATINATO-E-PURE-LESBICA-; E’-FUGGITA-CON-UNA-CULTURISTA-E--IO-COME-NE-TROVO-UN-ALTRA? RRAAPP”
Sottotitolo “MENOMALE-CHE-NON-BESTEMMIO-E-VADO-A-MESSA RRAAPP”
Viene diffuso, con tecniche di >Marketing sul mercato “parallelo”.

Al ritorno Jack-‘o Min incontra Gennarino Parascandalo che esige la sua tangente e tenta di vendergli per 75 Euro il biglietto per la riffa del vicino paese dove il primo premio è Sofia Loren.
“Ma non mi piace, c’ha quasi 80 anni…” Ma Gennarino –furbo-, lo convince dicendogli che lei è in un carrozzone da luna park e che gli farà provare “cose nuove…” >Happy Hour!!!
Poco dopo il rapper si trova coinvolto in una vicenda di biglietti truccati e di concorso illecito e ci vuole tutta l’abilità dell’Avv. Postiglione Travaglio-Intruglio per cavarlo dai guai. Costo 123 Euro.

Arrivato a casa Jack trova sul >Web la notizia che Gennarino Parascandalo lo ha denunciato per aver diffuso illegalmente la sua musica, ha ritirato il CD campione, lo ha registrato sotto il nome ParascandaMusic e ne ha venduto 350.000 copie a 17 Euro l’una portandolo a Sanremo.

Poi si mette alla tastiera e scrive un pezzo neomelodico dal titolo:
‘O latitante che fuje doppo ch’ha SCANNATO ‘o Raggiungere”

Problema

Adesso, miei cari piccoli bambini milanesi, prendete il lapis blu, la matita rossa la gomma da cancellare e la biro e scrivete sul vostro quaderno di aritmetica; dopo aver fatto le cornicette:

Quanti centesimi di Euro è riuscito a portare a casa Jack’oMin?
Quanti milioni di Euro ha ricavato il rag. Parascandalo?
Quanto è costata la cura dei nervi del simpatico ometto?

E, soprattutto
Di chi figlio è il bandito, Rag. Ciruzzo Parascandalo?
(Luogo ed orario di lavoro della mamma …tipo di pneumatici usati…)

Svolgimento






Col. Douglas Mortimer

L'ATTORE VECCHIO

(Tiziano Terzani)



L’ATTORE VECCHIO

Il vecchio attore era seduto sulla sedia col suo nome dietro e parlava amabilmente col “ragazzo del bar”. Arrivò il giornalista e sedette di fronte a lui.
“Ecco uno dei miei migliori amici-disse indicando il ragazzo-. I suoi cestini al prosciutto possono andare avanti al Re”
Si scambiarono ancora qualche battuta simpatica poi il ragazzo guadagnò l’ombra e scomparve.
“Allora, lei ha una vita così straordinaria, e talmente bella da sembrare essa stessa un film. Ha rifatto il viaggio di Marco Polo ed è stato per un po’ in India, quindi ha visitato l’America Centrale e ha visto gli Idoli delle tribù; ha viaggiato da solo in barca a vela traversando l’Oceano ed è giunto in America. Ha fatto politica nel nostro Paese e ha diretto un teatro.
Ha avuto dei figli, dei cani… A parte i personaggi che ha interpretato.
Io, le giuro, sento il grande onore che lei mi fa a concedermi questa intervista. Mi racconti un aneddoto per i miei lettori, me ne basta solo uno, un fatto, e io ci costruisco un articolo”.

E si dispose all’ascolto di un qualcosa di immenso.

“Bene -cominciò l’attore vecchio-, negli anni ’50, quando ero molto giovane giocavo al pallone nella squadra del mio quartiere. Era una zona periferica, quasi un paese. Mi ricordo di una domenica mattina al campetto. Non avevamo il prato ma la polvere bianca e neanche le reti ma io era felice. C’era un sole bellissimo e faceva anche un po’ caldo per Aprile.
Io correvo per il campo con il cuore in gola e il respiro profondo. Ero attentissimo e riuscii a segnare non una, ma ben tre volte.
La gente sulle gradinate mi incitava, si abbracciava quando andavo in rete e gridava il mio nome scandendolo sillaba per sillaba. Ero in uno stato di grazia, e mi sentivo così contento che, parlarne ancora mi suscita una emozione fortissima!”

Il giornalista ascoltava attento nell’attesa del fatto.

“Quando segnavo mi abbracciavano tutti e io sentivo il calore del mio pubblico trasformarsi in qualcosa di fisico nel contatto coi miei compagni.
La partita finì con una vittoria schiacciante e i soli tre goal li avevo segnati io.
Alla fine anziché andare negli spogliatoi, salutai di nuovo i ragazzi e, passato il cancellino, mi diressi sulle gradinate. A stento passavo, poiché tutti mi volevano stringere la mano, toccarmi, e ognuno mi diceva qualcosa.
Riuscii ad arrivare dove erano la mia ragazza e suo figlio. Loro si alzarono e tutti e tre ci abbracciammo forte. Non so se le è mai capitato. Eravamo un piccolo cerchio e saltavamo e cantavamo i nostri inni e ridevamo di gusto.”

“Bene e che avvenne dopo?”

Avvenne che io mi staccai e mi misi a correre. Loro mi inseguirono senza chiedermi dove andassi e perché. Al limitare del campetto c’era una campagna in lieve discesa che dominava il mio rione e, da lontano lo vedevo svilupparsi a cerchio intorno alle case del centro e alla chiesa parrocchiale; poi le fabbriche e qualche orto verso la periferia.
L’erba era stata tagliata da poco e la sera aveva piovuto, quindi sentivo nel naso quell’odore forte ed eccitante e, in più la lieve discesa mi metteva le ali ai piedi.
Vedevo le case avvicinarsi e cominciavo a distinguerne i contorni ed i colori, le strade e le persone che camminavano, e dietro di me sentivo i passi veloci del bambino che mi seguiva, come me, urlando.
Gridavamo i cori da stadio le Ola, e più volte GOAL GOAL GOAL Goal.
Poi mi fermavo, lo aspettavo e quando lui mi raggiungeva ci rotolavamo a terra o facevamo le capriole, e ricominciavamo a correre.

Ad un tratto mi voltai e la vidi la mia ragazza. Correva dietro di noi col suo vestito bianco di differenti veli. Nella corsa le aderiva sulle tette e sul ventre e le disegnava la morbidezza invitante delle belle gambe.
Lei correva in discesa un poco distaccata, rideva e gridava. Aveva il braccio destro alzato e in mano un nastro giallo che volava nel cielo, come un improvvisato aquilone.
Era bellissima.”

“Ma poi cosa successe, il fatto, qual è il fatto, l’episodio….”

“Lei vuole il fatto, mio giovane amico.
Il fatto è il nastro giallo nelle mani della mia donna. Il nastro giallo quasi orizzontale tra il verde del prato e l’azzurro del cielo.
Questo è il fatto. E adesso lo racconti ai suoi lettori….”.




Col Douglas Mortimer

martedì 13 febbraio 2007

NOI - LORO : L’ELOGIO DEL CAFFE’


NOI @ LORO : L’ELOGIO DEL CAFFE’

TEA-BREAK. Alle cinque del pomeriggio in Inghilterra si fermano per sorbire il loro tè tradizionale accompagnato dalla solita pasticceria mignon.
Salottino da tè, tavolino apparecchiato con tovaglie candide, posateria d’argento e porcellana, tovaglioli ricamati.
A Napoli ed in tutta la Campania, abbiamo il rito del caffè pomeridiano, dopo il pisolino.
La siesta, forse importata dalla Spagna….
Al risveglio dal breve sonnellino dopo il pranzo (pasto principale della giornata), rilassati ma non ancora rigenerati, spettinati, sbadigliando, trascinando le pantofole, a volte in pigiama, comunque “sfatti”. Ci trasportiamo verso la cucina; lì rinnoviamo la quotidiana liturgia. Uguale da anni e uguale per anni.
Balconcino, due sedie; su una ci sediamo, l’altra ha funzione di tavolinetto, macchinetta e tazzina –di solito con il marchio del bar sotto casa-, zuccheriera.


A casa di Pasquale Lojacono, via Tribunali 176.
Pasquale: “A noialtri napoletani, toglieteci questo poco di sfogo fuori al balcone…. Io, per esempio a tutto rinuncerei, tranne a questa tazzina di caffè presa fuori al balcone, dopo quell’oretta di sonno che uno si è fatta dopo mangiato. E me la devo fare io stesso, con le mie mani” -.-
“Mia moglie non mi onora…queste cose non le capisce. E’ molto più giovane di me, sapete, la nuova generazione ha perduto queste abitudini che, secondo me, sotto un certo punto di vista, sono la poesia della vita; perché, oltre a farvi occupare il tempo, vi danno pure una certa serenità di spirito. Neh, scusate?…Chi mai potrebbe prepararmi un caffè come me lo preparo io, con lo stesso zelo…con la stessa cura?… Capirete che, dovendo servire me stesso, seguo le vere esperienze e non trascuro niente…”-.-
“Sul becco… lo vedete il becco?” (prende la macchinetta in mano ed indica il becco della caffettiera) “qua, professore dove guardate? Questo…” (Ascolta) “Vi piace sempre di scherzare… No, no scherzate pure…”
“Sul becco io ci metto questo coppitello di carta…” (lo mostra). “Pare niente, questo coppitello, ma ci ha la sua funzione…. E già perché il fumo denso del primo caffè che scorre, che poi è il più carico, non si disperde…..

Eduardo de Filippo “Questi fantasmi” commedia in tre atti anno 1946.


Silvio Orlando, Teatro delle Rose, gennaio, anno 2006.
Rievoca i fantasmi eduardiani nella sua interpretazione di una tra le più celebri Opere del Maestro napoletano.
Sorrento, una serata importante; nel teatro c’è una grande commedia con un interprete d’eccezione. La platea è piena e in galleria non ci sono più posti già molto tempo prima dell’inizio dello spettacolo. La gente ride e parla forte. Qualcuno è venuto in giacca e cravatta qualche signora in abito lungo.

Le rose luminose alle pareti si smorzano, la tensione aumenta e diventa ascolto silenzioso.

A parte qualche pausa troppo breve e forse degli accenti o sfumature differenti (d’altra parte è una interpretazione ma io continuo ad avere nella mente quell’immagine e quelle parole che ho potuto ascoltare solo registrate), Silvio Orlando è un ottimo interprete del personaggio eduardiano; la sua mimica, i suoi accenti, e la sua sottilissima ironia fatta di espressioni e, a volte di sguardi, mi convincono.
La storia mi diverte e mi commuove e “sento” intorno a me sciogliersi la cortina di diffidenza che forse è naturale quando ci si appresta ad assistere all’interpretazione di un testo considerato sacro.
Alla fine del primo atto è già il movimento, l’approvazione del pubblico che diventa partecipazione. Un bellissimo spettacolo come ne vediamo pochi a Sorrento, specie in periodo invernale.

Si è parlato a lungo del monologo del caffè. Per me è uno dei passaggi fondamentali della commedia, così come il dialogo con Raffaele, portiere, che spiega l’origine dei fantasmi e che è un meraviglioso colloquio tra due poveri di cui uno col vestito del potere e l’altro suo servitore e come la gag dei soldi e del resto.
Sono i momenti più belli; di una profondissima e malinconica comicità e di una napoletanità nuova e moderna, attualissima e concepita quasi sessanta anni fa.

La scena prosegue in un crescendo di partecipazione emotiva; il signore dietro di me recita –anticipandole- intere parti a memoria, prima sottovoce e poi quasi urlando, preso dall’euforia.
Si arriva all’ultima battuta dell’ultimo atto.
Fine.
Si chiude il sipario, si riapre. Gli attori ringraziano, gli interpreti si chiedono: “Sarà riuscita”?

Questi fantasmi riesce quando gli spettatori andandosene via si fanno la consueta domanda.
Fine dello spettacolo, ci rimettiamo i cappotti e ci incamminiamo un po’ allegri e un po’ tristi per i corridoi.
Pongo l’orecchio e attendo “la consueta domanda”.

Arriva!!! Sucesso pieno!!!

“Ma Pasquale Lojacono, alla fine, ci crede o non ci crede a

Questi Fantasmi?


Col. Douglas Mortimer


Ceneriere

MANIFESTO





MANIFESTO


Domenica mattina 1978. Sedici anni e pieno I quadrimestre.

Mi vesto con il mio solito giaccone a scacchi, la sciarpa rossa lunghissima ed esco.
Prendo il 183 e non pago perchè il “Collettivo punto rosso” si faceva un vanto di fottere i controllori dell’ATAN. E poi perché l’autobus è un mezzo popolare, e noi “proletari” dovevamo viaggiare gratis.
Ho appuntamento con Umberto o con Corrado o Massimo a Porta Posillipo. Andiamo a distribuire Il Manifesto a via del Marzano.

Via del Marzano, la parallela di via Manzoni, allora tutte case coloniche in tufo abitate da agricoltori. Adesso le hanno comprate medici ed avvocati e sono state trasformate in bellissime ville antiche e con un’anima contadina.
Ci facevano entrare, sedevamo intorno alle tavole quadrate con le coperte militari che facevano da sottotovaglia e poi rimanevano per tutto il giorno, e ci offrivano caffè, e a volte anche salami e formaggi. Vino. Sul comò alla parete le solite immagini dei parenti defunti.
Lui parlava e spiegava l’edizione quotidiana, loro ascoltavano e non capivano un cazzo. Poi ogni tanto guardavano me. Io sorridevo e facevo di sì con la testa.

Oggi ho iniziato a mettere nelle mie spese fisse giornaliere 90 centesimi per comprare Il Manifesto e vedere che cosa diavolo c’è scritto.
Ho capito solo il 20%. Poi andrà meglio.





Col. Douglas Mortimer

domenica 11 febbraio 2007

LIEVE


LIEVE

In una sera di autunno inoltrato Giovanni è al suo computer. La camera è buia, un cono di luce chiara cade sul panno verde del tavolo illuminando la tastiera, il monitor e il foglio bianco che questa volta non riesce a riempire.

Giovanni si chiede se è possibile raccontare un sentimento, uno stato d’animo o l’immagine che ti passa per un solo attimo lì davanti agli occhi e in realtà non esiste ma ce l’ha messa il tuo cervello sul cofano della macchina, mentre guidi nelle strade buie tornando verso casa. I fari illuminano un tratto di asfalto, un’auto che non avevi notato ti si mette davanti e così inizia il tuo film interiore.

Giovanni vorrebbe scrivere di quando pensa alla sua giovinezza e la paragona ad un attore maturo sul palco di un teatro di medio livello che recita la sua parte. Racconta una storia ad un pubblico attento. La commedia presto volgerà al termine e l’attore, con movimenti studiati pronuncerà l’ultima frase ad effetto, poi si inchinerà più volte ringraziando e sparirà dietro al sipario.
E tutto questo accadrà con estrema delicatezza. Con un docile ed inesorabile movimento, l’attore uscirà di scena lasciando un profumo, la scia, il caldo o la luce che magicamente entreranno in Giovanni o meglio nel suo corpo segreto, troveranno un comodo rifugio e lì si tratterranno per lungo lungo tempo.
Giovanni s’immagina sempre spettatore di prima fila, come ai concerti o agli spettacoli che gli piacciono tanto; all’inizio si fa trascinare dall’armonia e dalla musica, segue il balletto e ascolta le parole commuovendosi o ridendo a seconda del caso poi comincia a pensare con ansia a quando finirà. Lui vorrebbe che non finisse mai e invece un pensiero –di quelli cattivi- si impadronisce di lui, lo assilla, non gli fa godere lo spettacolo sussurrandogli che manca sempre più poco.
Cerca smaniosamente qualche scappatoia, un modo per prolungare quel momento, un bis, o un espediente che fermi il tempo, che lo allunghi. Come gli capita in queste occasioni, capisce che non può fare niente e quando si rende conto di questo l’ansia automaticamente finisce e lui si gode la parte finale dello show!!

Giovanni vorrebbe chiedere aiuto mandando un messaggio a qualcuno, e che qualcuno gli faccia capire che cosa a accade ad aprile, quando sa, lo sa! Che sta per avvenire qualcosa; che arriverà una ragazza mora e che lui l’attenderà sotto la statua di Garibaldi in stato di tachicardia, col respiro corto e quando lei verrà lui non riuscirà mai a pronunciare le parole che si era preparato cambiandole numerose volte. Le dirà cose banali ma poi, tornando a casa andrà col ricordo a poche ore prima e quelle cose cominceranno ad avere un senso ed un valore e, come il vino, più passeranno gli anni e più diventerà buono andarle a rispolverare e a gustare centellinandole a poco a poco.
E perché questo lui se lo aspetta solo ad aprile? Accade o non accade ma lui è in quel momento che sente di poterlo ottenere.

Perché si domanda Giovanni, dopo un film bello o dopo una buona lettura si sente come in un acquario. Passa la gente e lui la vede rallentata, osserva le persone nelle macchine e sembrano creature lunari dentro una palla di vetro; percepisce i loro movimenti ma non gli arrivano i suoni e gli stessi loro gesti sembrano non appartenere a questa terra.

Questo vorrebbe raccontare Giovanni e gli piacerebbe avere un lampionaio a cui porre le sue strane domande, che gli sappia dare una risposta.
Ma questa sera, avanti al foglio elettronico bianco, non riesce a trovare una storia dove mettere i suoi pensieri e la sua malinconia…

Vorrebbe anche capire che cosa accade alle creature e alle piante in questa magica fase dell’anno che è l’autunno inoltrato. Si sente avvolto nel buio e nel mistero della sua città, dei giardini che circondano la casa, delle persone che quasi non riconosce o che improvvisamente non trova più.
Una insolita ansia si impadronisce di lui, attende che qualcosa di spiacevole capiti e, ogni giorno che diminuisce la luce, questa sensazione emerge come un profondo tamburo di grancassa, poi diventa pungente al pari di un timpano. Lo stesso capita –gli sembra- alle piante del suo terrazzo. Vede ancora i fiori ma le immagina presentire la imminente spoliazione.
In realtà Giovani non ha nulla da temere ma tutte le ansie e le angosce che ha sotterrato durante l’anno, poiché non aveva tempo da dedicare loro, emergono ora e ciò non succede come un tumulto ma lievemente.
Come è lieve il cadere di una foglia dell’ippocastano.

Giovanni vorrebbe raccontare ai suoi amici la sensazione del freddo, quando le lenzuola non ti danno che tormento e non basta tutta una notte, rannicchiato in una unica posizione per riscaldarne almeno una parte, vorrebbe dire del blu delle mattine di febbraio o di come diventa ghiacciata la ringhiera tubolare della scala di casa sua, mal riscaldata per una perenne condizione di precarietà economica.
Vorrebbe parlare, Giovanni, del conto alla rovescia che comincia il 2 gennaio e che vede la sua fine verso la prima decina di marzo e della primavera che lui, barando, fa arrivare dieci giorni prima.
Però non vorrebbe descrivere propriamente il freddo ma l’attesa… dell’arrivo… del freddo.

E tante altre cose gli piacerebbe dire. L’allegria dei suoi amici al calore del caminetto quando si riuniscono tutti a cena, le giocate a carte che fanno solo in periodo invernale, la cioccolata calda in tazza incandescente o la polenta fumante e centrale, condita con tanto sugo dove ognuno affonda le salsicce.

Ma questa sera non riesce a scrivere proprio niente. Non gli viene una storia breve e, se gliene capita in mente una, allora questi pensieri e sensazioni si affollano nel racconto e soffocano i personaggi. Ma ne ha bisogno perché i suoi “sentimenti” gli girano veloci nella testa e, cercando nel vortice una via di uscita, aumentano la pressione che lui avverte come uno stato febbrile.
Quindi rimane per ore con le mani sulle tempie seduto avanti al suo computer.

E’ molto stanco e il foglio elettronico ancora bianco quando appoggia la schiena alla spalliera della sua poltrona.
Una linea acquosa gli scivola via dagli occhi senza produrre rumore né alcun movimento facciale.

Lentamente conquista il suo sonno. LIEVE, il sogno viene a vistarlo.






Col. Douglas Mortimer

Dio è morto!

Dio è morto.

“Anno 2008, alcuni astrofisici di vari paesi hanno perfezionato la Teoria del Gran Campo Unificato, hanno trovato gli ultimi frammenti di “ materia persa ” nell’ universo ed hanno provato, oltretutto in modo del tutto accidentale, che Dio non esiste.”

All’epoca i mass-media riportarono la notizia con lo stesso stile di sempre, senza affanno, cosi come fecero nel 1991 con “il sale è un assassino” e poi nel 1998 con “il sale è una cura miracolosa”. Il pubblico reagì alla notizia della non esistenza di Dio così come aveva reagito a notizie scioccanti tipo “la teoria dell’ evoluzione di Darwin” o alla scoperta della vita su Marte.

Il primo giorno: Non è vero, non può essere vero!!

Il secondo giorno (a conferma ormai certa): Eh! Lo avevo sempre saputo!!

E così il mondo iniziò ad accettare la vita senza Dio, i cristiani che cercavano sempre una scusa per non andare in chiesa alla domenica adesso ne avevano una davvero eccellente, gli ebrei ed i mussulmani finalmente mangiarono la carne di maiale e scoprirono che era deliziosa, milioni di affamati hindù si papparono allegramente quelle vacche sacre che per migliaia di anni erano state venerate ed avevano vagato liberamente per le loro strade. Dopo appena due anni la prima causa di morte in India era passata dalla fame all’ipertensione, nacque addirittura il clichè dell’hindù corpulento e borghese.
Tutte i giorni e le feste sacre, meno le più divertenti, si dimenticarono.
La Pasqua si salvò, la quaresima no.. l’Hannukkah rimase mentre lo Yom Kippur fu rimpiazzato con l’Hannukkah II. Il Ramadan, il periodo islamico di digiuno, sobrietà e astinenza sessuale si fu accorciando da 28 giorni a 28 secondi. Il Natale, che oramai aveva perso ogni valore religioso, continuò commercialmente e virtualmente senza cambi.
In ogni posto della Terra le case di adorazione perdettero il loro status di esenzione impositiva e furono costrette a chiudere, le moschee diventarono banche e le cattedrali sale cinematografiche virtuali multivisione....centinaia di piccole parrocchie diventarono una catena di superfastfood, ebbero una esito selvaggio nel 2010 ma fallirono un anno dopo. Nel 2011 la chiesa cattolica dovette chiudere e liquidò tutta la sua arte religiosa. L’Ultima Cena di Leonardo adesso fa bella mostra di se nella hall centrale della Mitsubishi Internacional di Osaka, il tetto della Cappella Sistina è stato smontato pezzo per pezzo ed adesso si trova al VatiCasinò di Atlantic City USA. Un politico multimiliardario italiano, comprò La Pietà e quello che ha fatto con essa è talmente ripugnante che è meglio non raccontarlo.
Il Vaticano, spogliato delle sue ricchezze, diventò un parco acquatico di divertimento per attirare turisti ma non funzionò e quindi il Papa si tramutò semplicemente in una altra celebrità, famosa per essere famosa. Ebbe il suo talk-show in USA Network, fece una pubblicità per un cognac famoso e registrò un disco country-western che ebbe un grande successo. Ancora oggi, su molti canali satellitari verso le tre di notte, si può vedere la sua pubblicità ad una sedia vibratrice per massaggi. Ah! Dimenticavo.....sposò una certa Platinette (famosa soubrette italiana) e grazie agli avanzi scientifici della medicina ed alla fecondazione iperspazioartificiale ebbero tre bellissimi figli.
E così, nonostante fosse rimasto senza Dio, il mondo continuò lo stesso a funzionare, la gente era più pigra, più orgogliosa, più adultera, più ghiottona, più avida e iraconda però...... non tanto da notarsi....... erano in fondo anche più felici, sino al 12 maggio del 2039, quando un gruppo di geologi prese alcuni campioni dal profondo del nucleo terrestre e scoprì che realmente invece c’era un inferno e che tutti, dico... tutti!, saremmo finiti li.

Il primo giorno: Non è vero, non può essere vero!!

Il secondo giorno (confermata la scoperta): Eh! Porco Zio!! Lo avevo sempre saputo!!

Seis tequilas

Me falta una mujer,
me sobran seis tequilas,

no ver para querer,
malditas sean las pilas
que me hacen trasnochar
echándote de menos,
echándome de más,
almíbar y centeno.

Me falta un corazón
me sobran cinco estrellas
de hoteles de ocasión
donde dejar mis huellas,
con nada que ocultar,
con todo por delante,
Goliat era un patán,
David era un gigante.

Aunque en parte soy juez
de un nunca, de un tal vez ....
de un no sé, de un después,
de un qué pronto.

En asuntos de amor siempre pierde el mejor,
no me tomes tontita por tonto.

Me falta una verdad,
me sobran cien excusas,
qué borde es la ansiedad,
que pérfidas las musas
que nimban a cualquier pelanas con su foco,
que cobran alquiler, con tangas y a lo loco.

Aunque en parte soy juez de un nunca,
de un tal vez, de un no sé,
de un después, de un qué pronto!

Ni zotal ni arrezú,
ni Luzbel ni Mambrú,
ni alfajor, ni duelo, ni quebranto.

Dame un beso más ...novia de Satanás,
jezabal que encanalla mi canto.
Casanova es el rey, Maquiavelo la ley,
del amor y la distancia.

A Patrizia versione "Johnny Walker - Black Label" con affetto......
Il Cavaliere Rosso

sabato 10 febbraio 2007

MORGAN


MORGAN

La partita è di quelle importanti. Si gioca il titolo e tutti sono tesi. Anche un’ala
come Morgan sente che potrebbe succedere qualcosa in questa sera, riuscire a segnare il suo goal, quello che ha sognato e che cambia la vita a un giocatore.
Si entra! Si passa il tunnel e si arriva in campo. E’ una cosa che è successa più volte a un giocatore, ma Morgan non riesce ad abituarsi. Sempre l’emozione lo domina e deve fare uno sforzo per cacciare via la tensione. Di solito comincia a correre, così scarica l‘ansia.
Morgan pensa allo stadio come ad un grande motore che ruggisce a folle. Una macchina immensa che sale e scende di giri a seconda degli umori e dell’andamento della squadra. A volte i giri arrivano ad essere insopportabili e lui pensa che gli accadrà, prima o poi, di vivere l’esperienza della rottura. Pensa che il motore salirà fino a scoppiare e lui sarà spettatore –una volta tanto- e testimone di questa esplosione collettiva.
Ma il rombo dello stadio, anche se arriva a livelli parossistici, poi si placa. E’ come se decine di migliaia di persone si concedessero ad un delirio di follia controllato. “Sanno a che punto portarsi e quando sono vicini allo scoppio tolgono il piede dal pedale”.
I capitani si scambiano i saluti, fischio, inizio. Questa volta Morgan gioca con il cuore in gola. Sarà l’emozione ma le pulsazioni sono accelerate, il battito forte e non si placa. Questo gli fa rendere di più perché corre come un pazzo e non sente il bisogno di prendere respiro.
La Squadra. I dodici pistoni e l’anello di gente il resto del motore. Sono loro –i ragazzi- che aumentano e diminuiscono i giri. Dodici cilindri, undici in campo e il dodicesimo: lo spirito di gruppo.
Morgan ha il compito di portare la palla al centro campo dell’area avversaria, ma gli altri sono forti ed aggressivi, e la partita si gioca quasi tutta nella loro zona. Lui continua a correre attento e ansioso. Il battito è fortissimo e corre anche quando non ce ne sarebbe bisogno. Qualcuno gli ha detto che facendo così scarica la tensione. Stavolta è tanta. E’ la partita che ha aspettato da una vita. Lo sapeva che sarebbe stato per stasera e aveva quella data in testa da mesi. Questo gli ha fatto caricare questa serata di un significato particolare. Adesso è nella realtà.



Morgan si sveglia tardi stasera. E’ quasi inverno e fuori è già scuro. Nella sua camera c’è odore di chiuso e di fumo di sigarette. Ha dormito ma non è riposato. In bocca il sapore del ferro quando è arrugginito. Si solleva dal letto che la sorella ha preparato per lui in un angolo di salotto, prende dalla sedia le sue cose e guarda fuori: quasi già buio. La parte luminosa del giorno l’ha passata nel sonno. Inoltre grandi nuvoloni neri non dicono niente di buono.
Si lava e si veste come suo solito: pantaloni di pelle nera aderenti, maglione scuro con borchie e giubbottone di pelle scura. Anfibi. Va in cucina. Sua sorella litiga col marito. Ricorda che l’eco delle loro voci l’ha svegliato. Parlano di lui. Non li saluta neanche, si versa il caffè –freddo dalla macchinetta-. Aumenta il metallo in bocca. Sputa nel lavandino, esce.
Le parole di suo cognato rimangono appese dietro di lui.
Morgan scende le scale ed esce nel pomeriggio autunnale che diventa notte. Il portoncino del palazzo è di metallo dorato e già le prime gocce d’umidità rimangono sospese tra l’alluminio anodizzato e la notte che avanza.
Arriva al bar, dove senza appuntamento incontra i ragazzi della borgata e la Banda.
Siede coi compari al tavolino esterno, allunga i piedi sornione e boss sull’altra sedia di plastica bianca e ordina una birra, che aumenterà il senso del ferro che sente nella bocca.. scrocca una sigaretta.
La radio trasmette la partita….


La partita va avanti tesa, veloce e violenta. C’è solo furore e rabbia. E voglia di segnare ad ogni costo. Morgan, ala sinistra, vola col cuore a mille e il respiro corto. Il Panzer che gli hanno messo contro bestemmia e impreca il Mister. Gli avevano parlato di un avversario mite, ma questo gli sta facendo sudare sette camicie. Non sta fermo un attimo e quando tocca palla è un ossesso. Non riesce a marcarlo perché Morgan scappa avanti, poi indietro, trattiene palla e la passa agli altri solo dopo mille richiami. I compagni sono perplessi, dalla panchina pensano sia opportuna una sostituzione. Poi decidono di aspettare la fine del primo tempo.
Mai era stato così. La notte scende e l’anello di gente scompare, ma lui sente tutta la tensione invisibile, e quel motore che sale, sale, sale e stavolta non si placa. Ma perché non tolgono il piede dal pedale? Stavolta sono al punto di rottura, e Morgan si sente un ingranaggio comandato da diecimila autisti; tutti con il piede sull’accelleratore. Il pistone in petto va al ritmo della folla, le reazioni sono velocissime, perfette.


Entra la puttana, coloratissima e stretta nei suoi indumenti sexy ma consumati e ormai lucidi. Sempre, la sera si trattiene al bar prima di andare in strada. A volte tra quei bulli di periferia rimedia qualche cliente e almeno non deve stare ad aspettare al freddo e ad intossicarsi ai fumi dei copertoni.
Passa, Gordon le allunga una feroce pacca sul sedere che lei incassa con un salto. Tutto regolare…
OK! Va al bar, scherza col ragazzo, beve, fuma va al biliardo, guarda la partita, esce.
Gordon allunga la gamba e lei cade a faccia a terra. Stavolta la risata è fragorosa. La puttana si alza, dice tutto il rosario di parenti defunti a Gordon e va via umiliata.
La risata si spegne, quando dalla radio arriva la voce del cronista che parla di una azione da goal dell’ala sinistra..
Qualcuno va verso Gordon e gli fa scivolare un pacchetto in tasca.


L’ala sinistra si è impossessata della palla e, dribblato il suo avversario, avanza verso l’area di rigore. Il pubblico è in delirio, quasi tutto in piedi. L’ala sinistra avanza verso l’area e nessuno riesce a fermare la sua corsa. Salta, scansa, elimina. Qualcuno trattiene l’ala sinistra per la maglietta; cade, si rialza, prende la palla, la perde, la riprende. La panchina è in piedi, l’arbitro col fischio in bocca…
Mischia nell’area di rigore, Morgan continua come un treno e nessuno lo ferma. Il portiere va in ansia poi nel panico. Sempre più solo. Salta a destra e sinistra pronto. Guarda negli occhi Morgan che guarda a sinistra nell’angolo. Morgan tira e il portiere si butta a sinistra, la palla va a destra. Incrocio di pali. Goal.
GOAL GOAL GOAL GOAL !!!!!

La radio trasmette e i ragazzi esultano in un boato che supera il bar e che ha la sua eco dalle case vicine.
Morgan lascia il gruppo e va via. Passa per una rampa in discesa che conduce ad uno spiazzo largo dove fanno il mercato. Per strada il fango dell’ultima pioggia. Lo spiazzale largo è circondato da palazzi alti, grigi o di mattoni. A intervalli irregolari le finestre illuminate di bianco neon o di giallo delle lampadine da 60 watt. Morgan cammina solitario e cupo. Il branco lo nota, ma lui non vede loro. Saranno una decina, lo aspettavano.
Il branco si stacca dal muretto e va verso Morgan. Lo raggiunge. Ci sono parole, qualche spintone, è rissa.


Finalmente si è sciolto quel nodo che aveva in gola. Morgan corre come un forsennato in preda alla gioia più intensa. Corre e si toglie la maglietta, poi la canotta. I suoi compagni gli tengono dietro felici. E’ sciolto tutto, il nodo, il battito, l’onda di tensione dall’anello sopra il campo. Sono tutti felici e lui sa che è per lui, grazie a lui. Corre, poi le gambe gli vengono meno e si ferma. Il cuore batte forte ed a intervalli irregolari. Sente il respiro affannato e non riesce a stare i piedi. Si inginocchia, poi la testa gli cade tra le gambe. Infine cade lui su un fianco, quindi sulla schiena.
L’urlo di gioia si trasforma in silenzio. Sono tutti fermi. Dai bordi parte il medico. Morgan guarda in alto e vede il nero della notte senza stelle e nuvole nere. Pensa: “Deve piovere”.
Il silenzio è spaventoso. Nessun movimento Diecimila statue immobili e occhi, tutti puntati su quell’eroe seminudo e steso al centro del prato.
Morgan riesce ancora a udirlo il silenzio e pensa che dovrebbe pensare: “Ecco. Sono riuscito a sentirlo il momento di rottura”.
Invece guarda il nero del cielo e pensa:”deve piovere”.
Poi gli occhi diventano troppo pesanti e li chiude.

Morgan prende il “ferro” che porta sempre in tasca. Errore. Gli animi si accendono, uno degli aggressori si trova sporco di sangue.
L’arabo affonda il “ferro” nella sua pancia. E’ panico nel branco. Qualcuno riesce a mettergli una mano in tasca e a prendere il pacchetto. Fuggono nel buio lasciando Morgan solo, in piedi, fermo con uno strano dolore liquido dal centro del corpo.
Le gambe non riescono a reggergli e lui cade sulle ginocchia, poi la testa tra le gambe e infine su un fianco. Poi supino.


Nei palazzi, ad un piano, tre ragazze ridono alla luce della lampadina centrale da 60 watt e provano le scarpette nuove. Tra poco qualcuno le verrà a prendere e le porterà in discoteca nella città grande, poi a mangiare e poi tenterà di scoparle in macchina.
Il solito.
Una di loro si allontana e si affaccia alla finestra. Senza poter fare nulla e senza voler fare nulla, vede Morgan rimanere solo dopo la rissa.
Lo vede portarsi le mani alla pancia, inginocchiarsi, vede la sua testa cadere tra le gambe e poi Morgan steso sull’asfalto irregolare dello spiazzale, nel freddo e nel buio umido della notte.
Senza potere né volere fare niente, la ragazza vede Morgan, sollevarsi da Morgan e lievitare verso le nuvole nere che portano pioggia.

Da terra, Morgan vede la sagoma scura della ragazzina alla finestra che guarda lui, sagoma scura.
I suoi occhi sono pesanti e li tiene sbarrati verso le nuvole nere.
Prima che diventino troppo pesanti per stare aperti osserva le nuvole, le ammira, ne studia i disegni e pensa: “deve piovere”. Pioverà.




Col. Douglas Mortimer

venerdì 9 febbraio 2007

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carissimi sconvoltoni vedo che qui si aprono blog come fossero farmacie o pompe della benzina... sarnno gli effetti delle bersaniane liberalizzazioni????? Speriamo almeno che si abbasseranno i costi di sottoscrizione per gli iscritti... come accade in tutte le liberalizzazioni...non è vero???!!! L'apertura del quippresente blog è anche associata all'altro provvedimento del go-go-verno ...cioè i pacs??? è possibile che il barbutos e lo scassatos si siano uniti in pacsiana convivenza???... l'idea mi perplime alquanto... come contributo all'incorse scritture allego incipit de "Tutti i sinomi e contrari del dejà vieu" (per leggere il prosieguo cliccaqua)

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Era soltanto la fine di un’altra giornata di ottobre. E come in tutte le giornate di ottobre, il tempo scorreva silenziosamente e lentamente ma con tratti di discontinuità. Scorci di campagna improvvisi, un falco che spicca il volo o una nuvola che si scosta facendo trapelare un insicuro raggio di luce trasmettono ansie che si riflettono sulle acque immobili raggiungendo paesi lontani e forse inesistenti. Quella sera di ottobre soffiava forte il vento dell’est. I capelli erano sconvolti e ricomposti da quel incessante turbinio. A nulla serviva aprire l’ombrello per ripararsi dalla fastidiosa pioggerella. Meglio camminare a zonzo nell’aria inquieta e lasciarsi accarezzare dalle tiepide gocce. Ecco lì all’angolo della strada finalmente comparire timido nella foschia il “Goat and Boot”. Dentro l’aria è calda, anche grazie allo scorrere risoluto di fiumi di birra, noti affluenti del Colne River. Seduto al solito tavolo appiccicoso Tobias sorseggia fiero il suo rum.