
L’ATTORE VECCHIO
Il vecchio attore era seduto sulla sedia col suo nome dietro e parlava amabilmente col “ragazzo del bar”. Arrivò il giornalista e sedette di fronte a lui.
“Ecco uno dei miei migliori amici-disse indicando il ragazzo-. I suoi cestini al prosciutto possono andare avanti al Re”
Si scambiarono ancora qualche battuta simpatica poi il ragazzo guadagnò l’ombra e scomparve.
“Allora, lei ha una vita così straordinaria, e talmente bella da sembrare essa stessa un film. Ha rifatto il viaggio di Marco Polo ed è stato per un po’ in India, quindi ha visitato l’America Centrale e ha visto gli Idoli delle tribù; ha viaggiato da solo in barca a vela traversando l’Oceano ed è giunto in America. Ha fatto politica nel nostro Paese e ha diretto un teatro.
Ha avuto dei figli, dei cani… A parte i personaggi che ha interpretato.
Io, le giuro, sento il grande onore che lei mi fa a concedermi questa intervista. Mi racconti un aneddoto per i miei lettori, me ne basta solo uno, un fatto, e io ci costruisco un articolo”.
E si dispose all’ascolto di un qualcosa di immenso.
“Bene -cominciò l’attore vecchio-, negli anni ’50, quando ero molto giovane giocavo al pallone nella squadra del mio quartiere. Era una zona periferica, quasi un paese. Mi ricordo di una domenica mattina al campetto. Non avevamo il prato ma la polvere bianca e neanche le reti ma io era felice. C’era un sole bellissimo e faceva anche un po’ caldo per Aprile.
Io correvo per il campo con il cuore in gola e il respiro profondo. Ero attentissimo e riuscii a segnare non una, ma ben tre volte.
La gente sulle gradinate mi incitava, si abbracciava quando andavo in rete e gridava il mio nome scandendolo sillaba per sillaba. Ero in uno stato di grazia, e mi sentivo così contento che, parlarne ancora mi suscita una emozione fortissima!”
Il giornalista ascoltava attento nell’attesa del fatto.
“Quando segnavo mi abbracciavano tutti e io sentivo il calore del mio pubblico trasformarsi in qualcosa di fisico nel contatto coi miei compagni.
La partita finì con una vittoria schiacciante e i soli tre goal li avevo segnati io.
Alla fine anziché andare negli spogliatoi, salutai di nuovo i ragazzi e, passato il cancellino, mi diressi sulle gradinate. A stento passavo, poiché tutti mi volevano stringere la mano, toccarmi, e ognuno mi diceva qualcosa.
Riuscii ad arrivare dove erano la mia ragazza e suo figlio. Loro si alzarono e tutti e tre ci abbracciammo forte. Non so se le è mai capitato. Eravamo un piccolo cerchio e saltavamo e cantavamo i nostri inni e ridevamo di gusto.”
“Bene e che avvenne dopo?”
Avvenne che io mi staccai e mi misi a correre. Loro mi inseguirono senza chiedermi dove andassi e perché. Al limitare del campetto c’era una campagna in lieve discesa che dominava il mio rione e, da lontano lo vedevo svilupparsi a cerchio intorno alle case del centro e alla chiesa parrocchiale; poi le fabbriche e qualche orto verso la periferia.
L’erba era stata tagliata da poco e la sera aveva piovuto, quindi sentivo nel naso quell’odore forte ed eccitante e, in più la lieve discesa mi metteva le ali ai piedi.
Vedevo le case avvicinarsi e cominciavo a distinguerne i contorni ed i colori, le strade e le persone che camminavano, e dietro di me sentivo i passi veloci del bambino che mi seguiva, come me, urlando.
Gridavamo i cori da stadio le Ola, e più volte GOAL GOAL GOAL Goal.
Poi mi fermavo, lo aspettavo e quando lui mi raggiungeva ci rotolavamo a terra o facevamo le capriole, e ricominciavamo a correre.
Ad un tratto mi voltai e la vidi la mia ragazza. Correva dietro di noi col suo vestito bianco di differenti veli. Nella corsa le aderiva sulle tette e sul ventre e le disegnava la morbidezza invitante delle belle gambe.
Lei correva in discesa un poco distaccata, rideva e gridava. Aveva il braccio destro alzato e in mano un nastro giallo che volava nel cielo, come un improvvisato aquilone.
Era bellissima.”
“Ma poi cosa successe, il fatto, qual è il fatto, l’episodio….”
“Lei vuole il fatto, mio giovane amico.
Il fatto è il nastro giallo nelle mani della mia donna. Il nastro giallo quasi orizzontale tra il verde del prato e l’azzurro del cielo.
Questo è il fatto. E adesso lo racconti ai suoi lettori….”.
Il vecchio attore era seduto sulla sedia col suo nome dietro e parlava amabilmente col “ragazzo del bar”. Arrivò il giornalista e sedette di fronte a lui.
“Ecco uno dei miei migliori amici-disse indicando il ragazzo-. I suoi cestini al prosciutto possono andare avanti al Re”
Si scambiarono ancora qualche battuta simpatica poi il ragazzo guadagnò l’ombra e scomparve.
“Allora, lei ha una vita così straordinaria, e talmente bella da sembrare essa stessa un film. Ha rifatto il viaggio di Marco Polo ed è stato per un po’ in India, quindi ha visitato l’America Centrale e ha visto gli Idoli delle tribù; ha viaggiato da solo in barca a vela traversando l’Oceano ed è giunto in America. Ha fatto politica nel nostro Paese e ha diretto un teatro.
Ha avuto dei figli, dei cani… A parte i personaggi che ha interpretato.
Io, le giuro, sento il grande onore che lei mi fa a concedermi questa intervista. Mi racconti un aneddoto per i miei lettori, me ne basta solo uno, un fatto, e io ci costruisco un articolo”.
E si dispose all’ascolto di un qualcosa di immenso.
“Bene -cominciò l’attore vecchio-, negli anni ’50, quando ero molto giovane giocavo al pallone nella squadra del mio quartiere. Era una zona periferica, quasi un paese. Mi ricordo di una domenica mattina al campetto. Non avevamo il prato ma la polvere bianca e neanche le reti ma io era felice. C’era un sole bellissimo e faceva anche un po’ caldo per Aprile.
Io correvo per il campo con il cuore in gola e il respiro profondo. Ero attentissimo e riuscii a segnare non una, ma ben tre volte.
La gente sulle gradinate mi incitava, si abbracciava quando andavo in rete e gridava il mio nome scandendolo sillaba per sillaba. Ero in uno stato di grazia, e mi sentivo così contento che, parlarne ancora mi suscita una emozione fortissima!”
Il giornalista ascoltava attento nell’attesa del fatto.
“Quando segnavo mi abbracciavano tutti e io sentivo il calore del mio pubblico trasformarsi in qualcosa di fisico nel contatto coi miei compagni.
La partita finì con una vittoria schiacciante e i soli tre goal li avevo segnati io.
Alla fine anziché andare negli spogliatoi, salutai di nuovo i ragazzi e, passato il cancellino, mi diressi sulle gradinate. A stento passavo, poiché tutti mi volevano stringere la mano, toccarmi, e ognuno mi diceva qualcosa.
Riuscii ad arrivare dove erano la mia ragazza e suo figlio. Loro si alzarono e tutti e tre ci abbracciammo forte. Non so se le è mai capitato. Eravamo un piccolo cerchio e saltavamo e cantavamo i nostri inni e ridevamo di gusto.”
“Bene e che avvenne dopo?”
Avvenne che io mi staccai e mi misi a correre. Loro mi inseguirono senza chiedermi dove andassi e perché. Al limitare del campetto c’era una campagna in lieve discesa che dominava il mio rione e, da lontano lo vedevo svilupparsi a cerchio intorno alle case del centro e alla chiesa parrocchiale; poi le fabbriche e qualche orto verso la periferia.
L’erba era stata tagliata da poco e la sera aveva piovuto, quindi sentivo nel naso quell’odore forte ed eccitante e, in più la lieve discesa mi metteva le ali ai piedi.
Vedevo le case avvicinarsi e cominciavo a distinguerne i contorni ed i colori, le strade e le persone che camminavano, e dietro di me sentivo i passi veloci del bambino che mi seguiva, come me, urlando.
Gridavamo i cori da stadio le Ola, e più volte GOAL GOAL GOAL Goal.
Poi mi fermavo, lo aspettavo e quando lui mi raggiungeva ci rotolavamo a terra o facevamo le capriole, e ricominciavamo a correre.
Ad un tratto mi voltai e la vidi la mia ragazza. Correva dietro di noi col suo vestito bianco di differenti veli. Nella corsa le aderiva sulle tette e sul ventre e le disegnava la morbidezza invitante delle belle gambe.
Lei correva in discesa un poco distaccata, rideva e gridava. Aveva il braccio destro alzato e in mano un nastro giallo che volava nel cielo, come un improvvisato aquilone.
Era bellissima.”
“Ma poi cosa successe, il fatto, qual è il fatto, l’episodio….”
“Lei vuole il fatto, mio giovane amico.
Il fatto è il nastro giallo nelle mani della mia donna. Il nastro giallo quasi orizzontale tra il verde del prato e l’azzurro del cielo.
Questo è il fatto. E adesso lo racconti ai suoi lettori….”.
Col Douglas Mortimer
Nessun commento:
Posta un commento