
Immagine tratta da: -ladridinani-. Collezione privata.
L’ORIGINE DEL MUNACIELLO
I FANTASMI DI NAPOLI. “Sono quasi tutti innamorati. Dietro a ciascuno di loro storie struggenti e dolcissime, crudeli, consumate nella cornice nobile o popolare della Napoli magica. “ M. Serao.
Una paura terribile, il cuore in gola; gli occhi del vicolo – i mille occhi dei mille vicoli, senza volto, senza espressione-, tutti gli occhi fissi su di lui, che scivola via, di nascosto, di corsa.
Ogni notte. Ogni notte di corsa. A perdifiato. E tutte le notti per vedere la sua donna.
Ogni notte. Per perdersi nelle braccia della sua amante.
Ogni Santa notte. Fino a quando un pugnale infilato nella sua schiena rompe l’incanto.
Fino a quando la morte cancella la sua tenera ed infinita storia d’amore.
Anno 1445. Napoli. Una delle tante storie d’amore contrastate, di quelle che se ne vedono e se ne raccontano per Napoli, e in tutte le altre città, da sempre, per sempre.
Stefano Mariconda, giovane e nobile s’innamora della figlia di un mercante di stoffe, Caterinella Frezza.
Il loro amore viene duramente contrastato dalle rispettive famiglie. Ma i due continuano a vedersi, su un terrazzo buio ed appartato del quartiere dei Mercanti. Ogni notte. Fino a quando Stefano Mariconda viene barbaramente assassinato.
Nessuno rimuove il suo corpo che resta ad imputridire in quel buio vicolo che fino a pochi giorni prima era stato il castello dove due ragazzi, re e regina, consumavano i loro convegni d’amore.
Caterinella Frezza fugge di casa e si nasconde in un convento.
Una storia comune, tipica di quei tempi. Niente di nuovo.
Dopo alcuni mesi Caterinella mette al mondo un bambino, figlio suo e di Stefano.
Le suore adottano il piccolo. Cresce pochissimo, ha una testa troppo grande e mostruosa per un corpicino piccolo e fragile. E poi… quel vestito! Caterinella e le suore gli cuciono addosso un abito nero e bianco, da piccolo monaco.
Ci vuole poco. Nei vicoli, per le strade cominciano a chiamarlo “lu munaciello”. E cominciano ad attribuirgli poteri magici, soprannaturali. Se il piccolo indossa un cappuccio rosso, allora è buon augurio, dalla giornata ci si può attendere il meglio. Ma, “Chiudersi in casa, sbarrare la porte, e non fare entrare nemmeno l’aria, se Lu Munaciello indossa la scazzettella negra!!!”.
Lu Munaciello porta disgrazia.
“Era lui -racconta Matilde Serao nelle LEGGENDE NAPOLETANE- che attirava l’aria mefitica nei quartieri bassi; lui che vi portava la febbre e la malasania; lui che guardando nei pozzi guastava e faceva imputridire l’acqua; lui che toccando i cani li faceva arrabbiare; lui che portava la mala fortuna nei negozi ed il caro del pane; lui che, spirito maligno, suggeriva al re nuovi balzelli”.
Di casa in casa, di basso in basso, di bocca in bocca, la leggenda del munaciello fortunato o maledetto non poteva portare che allo stesso tragico epilogo.
Il piccolo, come suo padre è ucciso in circostanze misteriose.
Da allora la sua ombra, il suo spirito si aggirano per i quartieri del centro antico, da Toledo ai Tribunali, dalla Sapienza a Foria, passando per i cupi bassi della Vicaria, di Mercato, di Porto, di Pendino.
“Dove è stato visto -scrive Donna Matilde-, s’aggira come spirito; dove è apparso il suo corpo piccino, la testa grossa, la faccia pallida, i grandi occhi lucenti, la tonachella nera, lì ricompare nella medesima parvenza pel terrore delle donne, dei fanciulli, degli uomini”.
Se in qualcuno degli antichi e lugubri edifici del centro storico si vedeva, e si vede, a notte avanzata, una striscia di tela che scendeva giù dalla finestra, e poi risaliva, se si sentiva un guaito od altro misterioso rumore; senza dubbio in quella casa “ce steva lu munaciello”.
Quando cominciava a fare i capricci c’era da disperarsi. Ma se si giungeva a togliergli la scazzettella, il colpo era fatto; per riaverla era anche disposto a regalare una manciata d’oro.
Quando prendeva a proteggere qualcuno -spiega Luigi Correra in un piccolo saggio pubblicato alla fine dell’ottocento nell’ARCHIVIO DI TRADIZIONI POPOLARI di Giovan Battista Basile- allora la casa “annunnava comme ll’oro” il che avveniva quando nella casa c’era qualche fanciulla di cui il folletto s’innamorava.
Si trovavano in casa oggetti senza sapere donde fossero arrivati e spesso anche delle belle vesti per l’amata donzella. “Sovente, quando ella saliva nel suppegno della casa, s’imbatteva in un vago fanciullo che la invitava a giocar seco con dei quattrini e poi, da vero cavaliere, gliene faceva presente……”.
Col. Douglas Mortimer
I FANTASMI DI NAPOLI. “Sono quasi tutti innamorati. Dietro a ciascuno di loro storie struggenti e dolcissime, crudeli, consumate nella cornice nobile o popolare della Napoli magica. “ M. Serao.
Una paura terribile, il cuore in gola; gli occhi del vicolo – i mille occhi dei mille vicoli, senza volto, senza espressione-, tutti gli occhi fissi su di lui, che scivola via, di nascosto, di corsa.
Ogni notte. Ogni notte di corsa. A perdifiato. E tutte le notti per vedere la sua donna.
Ogni notte. Per perdersi nelle braccia della sua amante.
Ogni Santa notte. Fino a quando un pugnale infilato nella sua schiena rompe l’incanto.
Fino a quando la morte cancella la sua tenera ed infinita storia d’amore.
Anno 1445. Napoli. Una delle tante storie d’amore contrastate, di quelle che se ne vedono e se ne raccontano per Napoli, e in tutte le altre città, da sempre, per sempre.
Stefano Mariconda, giovane e nobile s’innamora della figlia di un mercante di stoffe, Caterinella Frezza.
Il loro amore viene duramente contrastato dalle rispettive famiglie. Ma i due continuano a vedersi, su un terrazzo buio ed appartato del quartiere dei Mercanti. Ogni notte. Fino a quando Stefano Mariconda viene barbaramente assassinato.
Nessuno rimuove il suo corpo che resta ad imputridire in quel buio vicolo che fino a pochi giorni prima era stato il castello dove due ragazzi, re e regina, consumavano i loro convegni d’amore.
Caterinella Frezza fugge di casa e si nasconde in un convento.
Una storia comune, tipica di quei tempi. Niente di nuovo.
Dopo alcuni mesi Caterinella mette al mondo un bambino, figlio suo e di Stefano.
Le suore adottano il piccolo. Cresce pochissimo, ha una testa troppo grande e mostruosa per un corpicino piccolo e fragile. E poi… quel vestito! Caterinella e le suore gli cuciono addosso un abito nero e bianco, da piccolo monaco.
Ci vuole poco. Nei vicoli, per le strade cominciano a chiamarlo “lu munaciello”. E cominciano ad attribuirgli poteri magici, soprannaturali. Se il piccolo indossa un cappuccio rosso, allora è buon augurio, dalla giornata ci si può attendere il meglio. Ma, “Chiudersi in casa, sbarrare la porte, e non fare entrare nemmeno l’aria, se Lu Munaciello indossa la scazzettella negra!!!”.
Lu Munaciello porta disgrazia.
“Era lui -racconta Matilde Serao nelle LEGGENDE NAPOLETANE- che attirava l’aria mefitica nei quartieri bassi; lui che vi portava la febbre e la malasania; lui che guardando nei pozzi guastava e faceva imputridire l’acqua; lui che toccando i cani li faceva arrabbiare; lui che portava la mala fortuna nei negozi ed il caro del pane; lui che, spirito maligno, suggeriva al re nuovi balzelli”.
Di casa in casa, di basso in basso, di bocca in bocca, la leggenda del munaciello fortunato o maledetto non poteva portare che allo stesso tragico epilogo.
Il piccolo, come suo padre è ucciso in circostanze misteriose.
Da allora la sua ombra, il suo spirito si aggirano per i quartieri del centro antico, da Toledo ai Tribunali, dalla Sapienza a Foria, passando per i cupi bassi della Vicaria, di Mercato, di Porto, di Pendino.
“Dove è stato visto -scrive Donna Matilde-, s’aggira come spirito; dove è apparso il suo corpo piccino, la testa grossa, la faccia pallida, i grandi occhi lucenti, la tonachella nera, lì ricompare nella medesima parvenza pel terrore delle donne, dei fanciulli, degli uomini”.
Se in qualcuno degli antichi e lugubri edifici del centro storico si vedeva, e si vede, a notte avanzata, una striscia di tela che scendeva giù dalla finestra, e poi risaliva, se si sentiva un guaito od altro misterioso rumore; senza dubbio in quella casa “ce steva lu munaciello”.
Quando cominciava a fare i capricci c’era da disperarsi. Ma se si giungeva a togliergli la scazzettella, il colpo era fatto; per riaverla era anche disposto a regalare una manciata d’oro.
Quando prendeva a proteggere qualcuno -spiega Luigi Correra in un piccolo saggio pubblicato alla fine dell’ottocento nell’ARCHIVIO DI TRADIZIONI POPOLARI di Giovan Battista Basile- allora la casa “annunnava comme ll’oro” il che avveniva quando nella casa c’era qualche fanciulla di cui il folletto s’innamorava.
Si trovavano in casa oggetti senza sapere donde fossero arrivati e spesso anche delle belle vesti per l’amata donzella. “Sovente, quando ella saliva nel suppegno della casa, s’imbatteva in un vago fanciullo che la invitava a giocar seco con dei quattrini e poi, da vero cavaliere, gliene faceva presente……”.
Col. Douglas Mortimer
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