
SMOG
Mattina, uffici in piena produzione e macchine della città a tutto motore.
L’uomo cammina per le strade col bel vestito, la 24 ore e l’impermeabile bianco. A vederlo si ha l’impressione che non sappia dove andare. Un dirigente, perso tra gli incroci del centro, sotto la pioggia intermittente e la nebbia di questo periodo invernale. Vaga senza meta, forse nell’attesa che quelli dell’Igiene Mentale lo vengano a prelevare e a portare nel suo ufficio presidenziale, attiguo alla sala riunioni.
Il traffico è il solito: incolore e ordinato; ognuno ha qualcosa da fare. Risolvere! Produrre!
Milano, mattina di lavoro, nebbia, solitudine indaffarata.
L’uomo si ferma avanti a un condominio moderno, è la prima volta che lo vede. Spinge il cancello ed entra. Il passo è incerto e il pensiero in qualche posto perduto, non ricorda neanche dove.
Apre il portoncino di vetro e ferro e si infila nell’androne del palazzo. Studia le luci al neon irregolari, la portineria vuota e il tavolo centrale -tipo fratino- con la poltrona dell’amministratore e le sedie per i colloqui coi condomini. Al centro tavola un vaso con fiori di plastica.
Meccanicamente sposta una sedia e siede. Posa la sua cartella di cuoio, la apre e ne trae una rivista per enigmisti. La poggia sul tavolo poi sceglie dall’interno della sua giacca la penna stilografica d’oro.
Rimane un po’ poi inizia compilare qualche casella. Legge, pensa, scrive. Prima ha preso una gomma dalla borsa ed ha cancellato le soluzioni che mette sua figlia di ritorno dalla scuola dove insegna. Lei usa i cruciverba per distrarsi dalla metropolitana e scrive a matita per poter correggere.
Dall’ascensore esce una condomina tenendo il bambino per mano.
Vede l’uomo, si stringe verso la parete e strisciando va via. Muta. Lui non la nota nemmeno.
In sala riunioni sono quasi nel caos. Il tavolo lungo è occupato da dirigenti, ma manca il Presidente al capotavola. Le segretarie fuori non sanno cosa fare. Non hanno niente da battere sulle macchine automatiche e la vicinanza reciproca e i neon non le aiutano a distrarsi e a partire con la mente verso altri fantastici luoghi. Sono lì, parlano tra di loro, fanno congetture.
Cominciano a salire impiegati dai piani inferiori, prima quadri poi dipendenti e quindi scrivani e commessi. Infine qualche operaio, con la chiave inglese che esce dalla tuta e lo strofinaccio per ripulirsi dal grasso e dall’olio.
La produzione è ferma. Il Presidente non si trova e sono tutti molto preoccupati. Poi allarmati.
La riunione continua assurda. E’ un coro di voci che si alzano nella speranza di riuscire ad ottenere il comune ascolto.
Uno qualunque si allontana dal tavolo e va verso la scrivania del Presidente. Alza uno dei telefoni e compone il numero.
“Si…… Si…. E’ grave!……Va bene….D’accordo, ma subito. Purchè si faccia subito…Anticipo e saldo…..Va bene, a fra poco”.
Poi torna al tavolo delle riunioni, rompe un bicchiere ed ottiene l’attenzione.
Intanto fuori è un continuo susseguirsi di capannelli e gruppetti. Sono operai, impiegati, quadri, segretarie e sindacalisti in ordine sparso ed a piccoli circoli che parlano tra di loro. Tutto lo spazio tra la direzione e il piazzale della fabbrica è preso. Le persone parlano piano come si usa ad un funerale, quando sono arrivati quelli dell’”Impresa” e tu attendi che esce la bara.
Nel condominio il dirigente continua a risolvere rebus e cruciverba. Ma piano, studiando le parole e scrivendo con bella calligrafia e con movimenti ampi ed infantili.
I condomini pensano che si tratti di un amministratore unico, un capo, ma qualcosa non li convince e passano rasente ai muri. Non salutano e vanno via.
La cravatta è allentata, la borsa aperta e i suoi capelli sono in disordine. Quando non trova una soluzione le mani ci vanno dentro e lui rimane pensoso e assorto con la penna in bocca.
Nel cortile arriva l’Alfa. E’ una ammiraglia, grigia ma senza borchie alle ruote e ammaccata in più punti. In più sporca ed opaca. Scende un uomo con lo stesso impermeabile bianco e “l’abito da lavoro”. Ha un cappello in testa e somiglia all’attore Proietti, ma con la barba trascurata e i baffi ben tenuti. Ha un sigaro spento in bocca. I gruppetti di persone si voltano e tacciono al suo passaggio ma lui non li cura. Entra diretto nella sala riunioni, seguito a ruota dalla segretaria che non è riuscita a trattenerlo. Lo aspettavano. Siede al posto del Presidente, col cappello e il sigaro e ascolta.
Si affannano tutti a spiegare, a raccontare e il detective non dice una sola parola. Il suo unico gesto è allungare la mano, intascare l’assegno, dopo averlo controllato, alzarsi e andare via.
Ritorna giù, prende la sua Alfa ed esce dal cancello. Si dirige spedito verso il condominio. Parcheggia l’auto in doppia fila, ma con la quattro frecce accese ed entra.
Lo trova lì, coi suoi cruciverba e l’orologio del tempo rotto, nella sua testa.
In quel momento è pensoso, quasi sgomento. Non riesce a trovare la risposta, la chiave.
Il detective siede affianco a lui, legge la didascalia e guarda il quadro, quindi si china al suo orecchio e gli dice una sola parola di quattro lettere: SMOG
Il dirigente, come se fosse arrivata al suo cervello da sola –perché neanche se ne è accorto del detective-, scrive poi preme il pennino con forza, fino a spezzarlo. Uno schizzo di nobile sangue blù esce dalla penna, macchia il giornalino, il tavolo, le sue mani. Lui si guarda intorno e piano comincia a piangere. L’onda lo prende e allarga le braccia sul lago di inchiostro, ci poggia la testa e piange come quando era piccolo, singhiozzando e lamentandosi. Il detective gli poggia una mano sulla spalla, al centro, tra una scapola e l’altra e preme in modo ritmico seguendo l’onda del pianto. Non dice niente ma sembra che controlli e quasi diriga quell’ orchestra di emozioni.
Il pianto dura molto tempo e alla fine il dirigente alza lo sguardo verso l’uomo vicino a lui, gli sorride. E’ sporco di blù; le mani, i polsini della camicia e della giacca, l’impermeabile. Trae un fazzoletto, si pulisce un poco poi inizia a riporre le sue cose nella borsa.
Infine si alza e appoggiandosi all’uomo esce dal palazzo. Alla porta incrocia la donna col bambino che, nel frattempo era corsa a chiamare l’amministratore.
Entrano nella macchina e si incamminano verso la fabbrica. Nel percorso parlano tutto il tempo, si scambiano confidenze, ricordi, si raccontano parti intere della loro vita. Diventano amici. E ancora parlano quando l’Alfa varca il cancello automatico del cortile e si ferma per la seconda volta avanti alla scala degli uffici.
Gli impiegati ammutoliscono ancora e assistono a quel colloquio come una televisione senza audio.
Poi i due scendono e si incamminano verso l’ultimo piano. I gruppi si sciolgono e si accodano, come l‘esatto contrario di un funerale.
Passando vicino la sua segretaria personale, il dirigente sfila la mano dalla tasca e,senza allegria le dà la solita sonora pacca sul sedere che lei registra con un salto. Aveva messo la minigonna chiara. Errore fatale. Le rimane una mano nera all’altezza della chiappa sinistra.
La segretaria guadagna il posto subito dietro al suo capo, respinge gli altri e chiude la porta dietro di sé.
Il dirigente entra e siede al suo posto a capotavola. E’ sporco e spettinato, sfatto. Ma adesso c’è. E’ presente. Sa cosa fare.
Comincia a parlare di sé, della sua vita, della perdita dei genitori da ragazzo, dei suoi studi, del matrimonio e della bella casa, della macchina che deve cambiare perchè scade il leasing, della figlia insegnante che non trova marito, della moglie che ormai non desidera più e che ha un amante giovane e della sua casetta in montagna dove non riesce ad andare mai. E parla di quel cervo selvatico che ha viso in una passeggiata.
Erano soli, lui e il cervo.
L’animale lo guardava e lui guardava ricambiando lo sguardo. Poi con una lentezza regale il cervo lo ha abbandonato e ha ripreso le sue occupazioni.
Ecco! E’ cominciato tutto da lì!
Il detective è rimasto tutto il tempo in piedi, con impermeabile e cappello. Ascolta, freddo. Queste storie già le conosce.
Poi allunga la mano intasca il secondo assegno, esce e guadagna il terreno nel gruppo compatto di impiegati e operai. Per ogni metro che percorre tra la gente, attorno a sé costruisce il silenzio.
Perfetto ed assoluto quando apre la porta della sua Alfa. Qualcuno ha pietà di lui e gli apre il cancello automatico….
In sala riunioni sono tutti diventati “umani”. Improvvisamente si sono aperte le porte dei ricordi di ognuno e fanno a gara, come prima, a parlare delle cose più intime, delle impotenze, delle corna messe e ricevute, delle squadre del cuore, degli storici tornei di calcetto e cose profonde di questo genere.
Poi, il più svelto sposta piano piano la conversazione sulla produzione. L’argomento si fa strada e poco dopo, avanti alle maniche macchiate del dirigente si sciorinanano tabulati e grafici che illustrano il deficit per queste ore che “la macchina” è stata ferma.
Qualcuno con delicatezza gli sfila l’impermeabile, la segretaria con la “mano nera” gli prepara un amorevole caffè.
Mezz’ora dopo il dirigente ripulito, è alla sua scrivania tra telefoni, segretarie e computer. Lui ordina, loro eseguono. Tra poco ci sarà la pausa pranzo.
Cosa era successo?
Nel centro di Milano, in una mattina lavorativa tra pioggia intermittente e un po’ di nebbia leggera, una macchina di produzione si è fermata per tre ore.
Mattina, uffici in piena produzione e macchine della città a tutto motore.
L’uomo cammina per le strade col bel vestito, la 24 ore e l’impermeabile bianco. A vederlo si ha l’impressione che non sappia dove andare. Un dirigente, perso tra gli incroci del centro, sotto la pioggia intermittente e la nebbia di questo periodo invernale. Vaga senza meta, forse nell’attesa che quelli dell’Igiene Mentale lo vengano a prelevare e a portare nel suo ufficio presidenziale, attiguo alla sala riunioni.
Il traffico è il solito: incolore e ordinato; ognuno ha qualcosa da fare. Risolvere! Produrre!
Milano, mattina di lavoro, nebbia, solitudine indaffarata.
L’uomo si ferma avanti a un condominio moderno, è la prima volta che lo vede. Spinge il cancello ed entra. Il passo è incerto e il pensiero in qualche posto perduto, non ricorda neanche dove.
Apre il portoncino di vetro e ferro e si infila nell’androne del palazzo. Studia le luci al neon irregolari, la portineria vuota e il tavolo centrale -tipo fratino- con la poltrona dell’amministratore e le sedie per i colloqui coi condomini. Al centro tavola un vaso con fiori di plastica.
Meccanicamente sposta una sedia e siede. Posa la sua cartella di cuoio, la apre e ne trae una rivista per enigmisti. La poggia sul tavolo poi sceglie dall’interno della sua giacca la penna stilografica d’oro.
Rimane un po’ poi inizia compilare qualche casella. Legge, pensa, scrive. Prima ha preso una gomma dalla borsa ed ha cancellato le soluzioni che mette sua figlia di ritorno dalla scuola dove insegna. Lei usa i cruciverba per distrarsi dalla metropolitana e scrive a matita per poter correggere.
Dall’ascensore esce una condomina tenendo il bambino per mano.
Vede l’uomo, si stringe verso la parete e strisciando va via. Muta. Lui non la nota nemmeno.
In sala riunioni sono quasi nel caos. Il tavolo lungo è occupato da dirigenti, ma manca il Presidente al capotavola. Le segretarie fuori non sanno cosa fare. Non hanno niente da battere sulle macchine automatiche e la vicinanza reciproca e i neon non le aiutano a distrarsi e a partire con la mente verso altri fantastici luoghi. Sono lì, parlano tra di loro, fanno congetture.
Cominciano a salire impiegati dai piani inferiori, prima quadri poi dipendenti e quindi scrivani e commessi. Infine qualche operaio, con la chiave inglese che esce dalla tuta e lo strofinaccio per ripulirsi dal grasso e dall’olio.
La produzione è ferma. Il Presidente non si trova e sono tutti molto preoccupati. Poi allarmati.
La riunione continua assurda. E’ un coro di voci che si alzano nella speranza di riuscire ad ottenere il comune ascolto.
Uno qualunque si allontana dal tavolo e va verso la scrivania del Presidente. Alza uno dei telefoni e compone il numero.
“Si…… Si…. E’ grave!……Va bene….D’accordo, ma subito. Purchè si faccia subito…Anticipo e saldo…..Va bene, a fra poco”.
Poi torna al tavolo delle riunioni, rompe un bicchiere ed ottiene l’attenzione.
Intanto fuori è un continuo susseguirsi di capannelli e gruppetti. Sono operai, impiegati, quadri, segretarie e sindacalisti in ordine sparso ed a piccoli circoli che parlano tra di loro. Tutto lo spazio tra la direzione e il piazzale della fabbrica è preso. Le persone parlano piano come si usa ad un funerale, quando sono arrivati quelli dell’”Impresa” e tu attendi che esce la bara.
Nel condominio il dirigente continua a risolvere rebus e cruciverba. Ma piano, studiando le parole e scrivendo con bella calligrafia e con movimenti ampi ed infantili.
I condomini pensano che si tratti di un amministratore unico, un capo, ma qualcosa non li convince e passano rasente ai muri. Non salutano e vanno via.
La cravatta è allentata, la borsa aperta e i suoi capelli sono in disordine. Quando non trova una soluzione le mani ci vanno dentro e lui rimane pensoso e assorto con la penna in bocca.
Nel cortile arriva l’Alfa. E’ una ammiraglia, grigia ma senza borchie alle ruote e ammaccata in più punti. In più sporca ed opaca. Scende un uomo con lo stesso impermeabile bianco e “l’abito da lavoro”. Ha un cappello in testa e somiglia all’attore Proietti, ma con la barba trascurata e i baffi ben tenuti. Ha un sigaro spento in bocca. I gruppetti di persone si voltano e tacciono al suo passaggio ma lui non li cura. Entra diretto nella sala riunioni, seguito a ruota dalla segretaria che non è riuscita a trattenerlo. Lo aspettavano. Siede al posto del Presidente, col cappello e il sigaro e ascolta.
Si affannano tutti a spiegare, a raccontare e il detective non dice una sola parola. Il suo unico gesto è allungare la mano, intascare l’assegno, dopo averlo controllato, alzarsi e andare via.
Ritorna giù, prende la sua Alfa ed esce dal cancello. Si dirige spedito verso il condominio. Parcheggia l’auto in doppia fila, ma con la quattro frecce accese ed entra.
Lo trova lì, coi suoi cruciverba e l’orologio del tempo rotto, nella sua testa.
In quel momento è pensoso, quasi sgomento. Non riesce a trovare la risposta, la chiave.
Il detective siede affianco a lui, legge la didascalia e guarda il quadro, quindi si china al suo orecchio e gli dice una sola parola di quattro lettere: SMOG
Il dirigente, come se fosse arrivata al suo cervello da sola –perché neanche se ne è accorto del detective-, scrive poi preme il pennino con forza, fino a spezzarlo. Uno schizzo di nobile sangue blù esce dalla penna, macchia il giornalino, il tavolo, le sue mani. Lui si guarda intorno e piano comincia a piangere. L’onda lo prende e allarga le braccia sul lago di inchiostro, ci poggia la testa e piange come quando era piccolo, singhiozzando e lamentandosi. Il detective gli poggia una mano sulla spalla, al centro, tra una scapola e l’altra e preme in modo ritmico seguendo l’onda del pianto. Non dice niente ma sembra che controlli e quasi diriga quell’ orchestra di emozioni.
Il pianto dura molto tempo e alla fine il dirigente alza lo sguardo verso l’uomo vicino a lui, gli sorride. E’ sporco di blù; le mani, i polsini della camicia e della giacca, l’impermeabile. Trae un fazzoletto, si pulisce un poco poi inizia a riporre le sue cose nella borsa.
Infine si alza e appoggiandosi all’uomo esce dal palazzo. Alla porta incrocia la donna col bambino che, nel frattempo era corsa a chiamare l’amministratore.
Entrano nella macchina e si incamminano verso la fabbrica. Nel percorso parlano tutto il tempo, si scambiano confidenze, ricordi, si raccontano parti intere della loro vita. Diventano amici. E ancora parlano quando l’Alfa varca il cancello automatico del cortile e si ferma per la seconda volta avanti alla scala degli uffici.
Gli impiegati ammutoliscono ancora e assistono a quel colloquio come una televisione senza audio.
Poi i due scendono e si incamminano verso l’ultimo piano. I gruppi si sciolgono e si accodano, come l‘esatto contrario di un funerale.
Passando vicino la sua segretaria personale, il dirigente sfila la mano dalla tasca e,senza allegria le dà la solita sonora pacca sul sedere che lei registra con un salto. Aveva messo la minigonna chiara. Errore fatale. Le rimane una mano nera all’altezza della chiappa sinistra.
La segretaria guadagna il posto subito dietro al suo capo, respinge gli altri e chiude la porta dietro di sé.
Il dirigente entra e siede al suo posto a capotavola. E’ sporco e spettinato, sfatto. Ma adesso c’è. E’ presente. Sa cosa fare.
Comincia a parlare di sé, della sua vita, della perdita dei genitori da ragazzo, dei suoi studi, del matrimonio e della bella casa, della macchina che deve cambiare perchè scade il leasing, della figlia insegnante che non trova marito, della moglie che ormai non desidera più e che ha un amante giovane e della sua casetta in montagna dove non riesce ad andare mai. E parla di quel cervo selvatico che ha viso in una passeggiata.
Erano soli, lui e il cervo.
L’animale lo guardava e lui guardava ricambiando lo sguardo. Poi con una lentezza regale il cervo lo ha abbandonato e ha ripreso le sue occupazioni.
Ecco! E’ cominciato tutto da lì!
Il detective è rimasto tutto il tempo in piedi, con impermeabile e cappello. Ascolta, freddo. Queste storie già le conosce.
Poi allunga la mano intasca il secondo assegno, esce e guadagna il terreno nel gruppo compatto di impiegati e operai. Per ogni metro che percorre tra la gente, attorno a sé costruisce il silenzio.
Perfetto ed assoluto quando apre la porta della sua Alfa. Qualcuno ha pietà di lui e gli apre il cancello automatico….
In sala riunioni sono tutti diventati “umani”. Improvvisamente si sono aperte le porte dei ricordi di ognuno e fanno a gara, come prima, a parlare delle cose più intime, delle impotenze, delle corna messe e ricevute, delle squadre del cuore, degli storici tornei di calcetto e cose profonde di questo genere.
Poi, il più svelto sposta piano piano la conversazione sulla produzione. L’argomento si fa strada e poco dopo, avanti alle maniche macchiate del dirigente si sciorinanano tabulati e grafici che illustrano il deficit per queste ore che “la macchina” è stata ferma.
Qualcuno con delicatezza gli sfila l’impermeabile, la segretaria con la “mano nera” gli prepara un amorevole caffè.
Mezz’ora dopo il dirigente ripulito, è alla sua scrivania tra telefoni, segretarie e computer. Lui ordina, loro eseguono. Tra poco ci sarà la pausa pranzo.
Cosa era successo?
Nel centro di Milano, in una mattina lavorativa tra pioggia intermittente e un po’ di nebbia leggera, una macchina di produzione si è fermata per tre ore.
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