
Le avventure semiserie di un “indio” sorrentino.
“NICARAGUA Luglio 1987” di Indio
Alla biglietteria del molo di Granada, al fare i biglietti per andare all’isola di Omotepe, ci chiesero il passaporto per identificarci, lo fecero solo con noi stranieri. Domandai allora il perché di quella strana richiesta ed il bigliettaio, sorridendo con i soli quattro denti che gli rimanevano, mi rispose: no se preocupe amigo, a veces algunos barcos se hunden y el gobierno sandinista quiere saber si hay victimas extranjeras!! (in quegli anni un po’ in tutto il centroamerica era abbastanza facile perdere la vita). Balbettai qualcosa che non ricordo, con una faccia evidentemente preoccupata, al che lui: Pero.. no se preocupe uste’ el ultimo se hundiò hace tres dias y eso no pasa siempre. Estè uste’ tranquilo. All’anima della tranquillità.....pensai.
Ignacio il giovane spagnolo di Saragozza, anche lui viaggiatore solitario come me, conosciuto a Jinotega su di un camion dell’esercito sandinista (il trasporto pubblico era quasi inesistente) che ci aveva portati a Managua, poi a Masaya e poi a Granada XXX (250km=3giorni, ma bellissimi, insieme con 23 soldati, giovanissimi, alcuni soldatesse, ne ricordo una, si chiamava Rosario, bellissima con la semplice uniforme verde scuro, l’Ak47 sempre al suo lato e quegli occhioni dolci, quasi materni, che quando si incontravano con i miei, sorridevano sempre)XXX e che aveva diviso con me quel tratto di viaggio, mi guardò con occhi preoccupati, mi confessò che non sapeva nuotare bene. Scherzando, gli risposi di non preoccuparsi, che essendo io un ottimo nuotatore, nel caso di naufragio, lo avrei aiutato. Non credo siano state le mie parole ma si calmò subito. Pensando ad altro ci avviammo al “barco” che in 5 ore ci avrebbe dovuto portare a Moyogalpa, uno dei due paeselli dell’isola di Omotepe. A prima vista la barca non sembrava male, mi ricordava molto il “Raffaele Savarese” che nella mia infanzia mi aveva portato tante volte a Procida. Questa barca si chiamava “Juanita II ed era una motobarca di legno di un 20/25 metri, sarebbe riuscita a portare anche un paio di automobili se ci fossero state, ma all’epoca in Nica i mezzi di trasporto non erano molti; c’erano però due asini e molte galline e “guajolotes” (tacchini). Alle 9.00 la motobarca partì, il sole tropicale iniziava a picchiare, faceva caldo e l’umidità era alta. Me ne andai a prua e mi feci un trombone. Il tempo era bellissimo, un gruppo di tre pellicani ci accompagnò per una ventina di minuti, era bellissimo vederli volare con un cielo così limpido ed i colori locali così intensi come sfondo.
Ad un tratto, improvvisamente, deviarono ad ovest, verso il Pacifico e scomparirono velocemente all’orizzonte. Rimasto senza distrazioni e mezzo sconquassato dalla tromba mattutina di maria nicaraguense mi addormentai aiutato da una fresca brezza che si alzò poco dopo e protetto dal forte sole da un telone unto di olio di macchina che ci faceva da tenda. Sarà passata un oretta quando un brusio di voci più elevato ed Ignacio che mi tirava la maglietta mi svegliarono.
Guarda lì Tonino, mi disse, indicandomi l’orizzonte. Il clima era rinfrescato, ad est il cielo, alla lontana, si vedeva nero, era una striscia nera che più si avvicinava e più si vedeva imponente. Conoscevo bene anche io il pericolo che si avvicinava velocemente e capii il perché di tanta preoccupazione tra la gente locale, era un temporale tropicale, di quelli improvvisi e che rovesciano acqua a secchiate e fulmini in quantità.. Sicuramente non sarebbe stato piacevole passarlo su di una barca nel mezzo del lago di Nicaragua. Non si vedeva ancora Omotepe ed anche Granada era scomparsa alla vista. Dopo alcuni minuti iniziò a piovigginare, si alzò un forte vento e, come ben sa chi conosce il mare (il lago Nicaragua è molto grande, come un piccolo mare), in pochi minuti il lago si agitò con onde alte almeno un paio di metri. Il cielo diventò nero, come se fosse notte, i fulmini iniziarono il loro ballo e la pioggia inizio a cadere, improvvisa, potente. La barca rollava paurosamente, ad un tratto una piccola esplosione, come lo schiocco di una frusta, fece girare tutti verso poppa, un cavo che manteneva dei barili di metallo si era spezzato e gli stessi, dovuto al forte rollio, iniziarono a rotolare per tutto il ponte. Fu il caos, le persone iniziarono a spostarsi impauriti ed in disordine per non venire colpiti ma purtroppo senza rendersene conto andarono tutti sulla dritta. La barca si inclinò improvvisamente, paurosamente; l’acqua del lago inizio ad entrare dalla fiancata, si infilò nel vano macchine da dove iniziò ad uscire un fumo nero denso, dopo poco i motori si fermarono, la situazione sembrava disperata. Ebbi paura e pensai al fatto di morire lì, lontano da tutti. Pensai al bigliettaio di Granada, al suo “no se preocupe amigo”. JODER! Stava succedendo a noi………Dovevo reagire! Gridai ad Ignacio di buttarsi fuoribordo che lo avrei seguito a ruota, il suo bagaglio erano due zainetti, uno sulle spalle e l’altro sul petto, io ne avevo uno solo, un po’ più grande da spalla. Ci guardammo negli occhi per alcuni secondi, i suoi erano tristi ed anche un po’ arrabbiati ma non impauriti, sembrava dicessero”ma porco zio stava andando tutto così bene!”. Devo dire che in quei momenti prima di gettarci nell’acqua in realtà non capimmo niente, le grida erano forti, gli animali come impazziti e gli umani, famiglie con bambini, campesinos, i pochi turisti cercavano di aggrapparsi a qualsiasi cosa trovassero. La fortuna nostra (di Ignacio e mia) fu che una volta in acqua, le mantelle di plastica che indossavamo contro la pioggia si riempirono d’aria e ci fecero da giubbotti salvagente (che ci aiutarono molto ed anzi ci fecero essere protagonisti ed eroi senza saperlo di un salvataggio di cui solo dopo venimmo a conoscenza… lo racconterò dopo, una volta a terra); ma in realtà la fortuna di tutti fu che la motobarca non andò a picco, rimase così, semiaffondata, e resistette sino a quando due ore dopo un piccolo rimorchiatore ci salvò. Sembra incredibile ma, un’ ora dopo tutto ciò, il sole dei tropici ricominciò a splendere, la tempesta si allontanò ad ovest così rapidamente come era arrivata e noi ci trovavamo appesi ad una barca mezza affondata nel mezzo del lago di Nicaragua (oltretutto, lo spiego per chi non lo sappia, il lago ha, unico al mondo, dei poco simpatici e pericolosi abitanti, ma secondo me è una fama non meritata, e cioè “los tiburones”, ovvero gli squali e più precisamente “squali toro”). Il fatto che questi animali vivano in un lago è uno strano fenomeno naturalistico, a cui si associa quello geologico (da molti geologi ipotizzato), fenomeni unici al mondo visto che sembrano confermare la teoria di una possibile unione del lago de Nicaragua all’oceano Pacifico/Atlantico a livello sotterraneo. Per fortuna quella volta quei, per me, simpatici animali erano impegnati evidentemente in altre occupazioni più importanti che mangiar naufraghi. Arrivammo quindi, trainati dal barcone-rimorchiatore e quasi di notte, a Moyogalpa, uno dei due paesini di Omotepe. Sul molo a riceverci c’era tutto il paese, non sembravano preoccupati anzi c’era allegria, (evidentemente sapevano che, per quella volta, sembrava non fosse affogato nessuno) tutt’intorno tantissimi barchini che prendevano persone e tutto ciò che si poteva recuperare dal Juanita II (oramai in secca ad un centinaio di metri dal molo). Nonostante l’affanno, la paura, la stanchezza, vedere tutta quella gente che ci aspettava ansiosa di aiutare mi dette una sensazione di tranquillità, mi sentii fortemente vivo, forse più di prima, forse più che mai, mi sentii come a casa, come se quella gente fosse stata da sempre la mia famiglia. Ho sempre pensato che questa mia esperienza abbia un po’ cambiato la mia vita, abbia inserito nella mia coscienza la consapevolezza che alla fine non si è mai soli ne’ poveri, anche se lontani dodicimila km. da casa e senza un dollaro in tasca. Quello che avrei vissuto in quella meravigliosa isola, in quel meraviglioso Nicaragua, per me pezzetto di paradiso in terra e che all’epoca viveva in pienezza ed orgoglio la sua rivoluzione,, avrebbe lasciato in me qualcosa che ancora oggi, dopo vent’anni, mi emoziona….. tanto!
“NICARAGUA Luglio 1987” di Indio
Alla biglietteria del molo di Granada, al fare i biglietti per andare all’isola di Omotepe, ci chiesero il passaporto per identificarci, lo fecero solo con noi stranieri. Domandai allora il perché di quella strana richiesta ed il bigliettaio, sorridendo con i soli quattro denti che gli rimanevano, mi rispose: no se preocupe amigo, a veces algunos barcos se hunden y el gobierno sandinista quiere saber si hay victimas extranjeras!! (in quegli anni un po’ in tutto il centroamerica era abbastanza facile perdere la vita). Balbettai qualcosa che non ricordo, con una faccia evidentemente preoccupata, al che lui: Pero.. no se preocupe uste’ el ultimo se hundiò hace tres dias y eso no pasa siempre. Estè uste’ tranquilo. All’anima della tranquillità.....pensai.
Ignacio il giovane spagnolo di Saragozza, anche lui viaggiatore solitario come me, conosciuto a Jinotega su di un camion dell’esercito sandinista (il trasporto pubblico era quasi inesistente) che ci aveva portati a Managua, poi a Masaya e poi a Granada XXX (250km=3giorni, ma bellissimi, insieme con 23 soldati, giovanissimi, alcuni soldatesse, ne ricordo una, si chiamava Rosario, bellissima con la semplice uniforme verde scuro, l’Ak47 sempre al suo lato e quegli occhioni dolci, quasi materni, che quando si incontravano con i miei, sorridevano sempre)XXX e che aveva diviso con me quel tratto di viaggio, mi guardò con occhi preoccupati, mi confessò che non sapeva nuotare bene. Scherzando, gli risposi di non preoccuparsi, che essendo io un ottimo nuotatore, nel caso di naufragio, lo avrei aiutato. Non credo siano state le mie parole ma si calmò subito. Pensando ad altro ci avviammo al “barco” che in 5 ore ci avrebbe dovuto portare a Moyogalpa, uno dei due paeselli dell’isola di Omotepe. A prima vista la barca non sembrava male, mi ricordava molto il “Raffaele Savarese” che nella mia infanzia mi aveva portato tante volte a Procida. Questa barca si chiamava “Juanita II ed era una motobarca di legno di un 20/25 metri, sarebbe riuscita a portare anche un paio di automobili se ci fossero state, ma all’epoca in Nica i mezzi di trasporto non erano molti; c’erano però due asini e molte galline e “guajolotes” (tacchini). Alle 9.00 la motobarca partì, il sole tropicale iniziava a picchiare, faceva caldo e l’umidità era alta. Me ne andai a prua e mi feci un trombone. Il tempo era bellissimo, un gruppo di tre pellicani ci accompagnò per una ventina di minuti, era bellissimo vederli volare con un cielo così limpido ed i colori locali così intensi come sfondo.
Ad un tratto, improvvisamente, deviarono ad ovest, verso il Pacifico e scomparirono velocemente all’orizzonte. Rimasto senza distrazioni e mezzo sconquassato dalla tromba mattutina di maria nicaraguense mi addormentai aiutato da una fresca brezza che si alzò poco dopo e protetto dal forte sole da un telone unto di olio di macchina che ci faceva da tenda. Sarà passata un oretta quando un brusio di voci più elevato ed Ignacio che mi tirava la maglietta mi svegliarono.
Guarda lì Tonino, mi disse, indicandomi l’orizzonte. Il clima era rinfrescato, ad est il cielo, alla lontana, si vedeva nero, era una striscia nera che più si avvicinava e più si vedeva imponente. Conoscevo bene anche io il pericolo che si avvicinava velocemente e capii il perché di tanta preoccupazione tra la gente locale, era un temporale tropicale, di quelli improvvisi e che rovesciano acqua a secchiate e fulmini in quantità.. Sicuramente non sarebbe stato piacevole passarlo su di una barca nel mezzo del lago di Nicaragua. Non si vedeva ancora Omotepe ed anche Granada era scomparsa alla vista. Dopo alcuni minuti iniziò a piovigginare, si alzò un forte vento e, come ben sa chi conosce il mare (il lago Nicaragua è molto grande, come un piccolo mare), in pochi minuti il lago si agitò con onde alte almeno un paio di metri. Il cielo diventò nero, come se fosse notte, i fulmini iniziarono il loro ballo e la pioggia inizio a cadere, improvvisa, potente. La barca rollava paurosamente, ad un tratto una piccola esplosione, come lo schiocco di una frusta, fece girare tutti verso poppa, un cavo che manteneva dei barili di metallo si era spezzato e gli stessi, dovuto al forte rollio, iniziarono a rotolare per tutto il ponte. Fu il caos, le persone iniziarono a spostarsi impauriti ed in disordine per non venire colpiti ma purtroppo senza rendersene conto andarono tutti sulla dritta. La barca si inclinò improvvisamente, paurosamente; l’acqua del lago inizio ad entrare dalla fiancata, si infilò nel vano macchine da dove iniziò ad uscire un fumo nero denso, dopo poco i motori si fermarono, la situazione sembrava disperata. Ebbi paura e pensai al fatto di morire lì, lontano da tutti. Pensai al bigliettaio di Granada, al suo “no se preocupe amigo”. JODER! Stava succedendo a noi………Dovevo reagire! Gridai ad Ignacio di buttarsi fuoribordo che lo avrei seguito a ruota, il suo bagaglio erano due zainetti, uno sulle spalle e l’altro sul petto, io ne avevo uno solo, un po’ più grande da spalla. Ci guardammo negli occhi per alcuni secondi, i suoi erano tristi ed anche un po’ arrabbiati ma non impauriti, sembrava dicessero”ma porco zio stava andando tutto così bene!”. Devo dire che in quei momenti prima di gettarci nell’acqua in realtà non capimmo niente, le grida erano forti, gli animali come impazziti e gli umani, famiglie con bambini, campesinos, i pochi turisti cercavano di aggrapparsi a qualsiasi cosa trovassero. La fortuna nostra (di Ignacio e mia) fu che una volta in acqua, le mantelle di plastica che indossavamo contro la pioggia si riempirono d’aria e ci fecero da giubbotti salvagente (che ci aiutarono molto ed anzi ci fecero essere protagonisti ed eroi senza saperlo di un salvataggio di cui solo dopo venimmo a conoscenza… lo racconterò dopo, una volta a terra); ma in realtà la fortuna di tutti fu che la motobarca non andò a picco, rimase così, semiaffondata, e resistette sino a quando due ore dopo un piccolo rimorchiatore ci salvò. Sembra incredibile ma, un’ ora dopo tutto ciò, il sole dei tropici ricominciò a splendere, la tempesta si allontanò ad ovest così rapidamente come era arrivata e noi ci trovavamo appesi ad una barca mezza affondata nel mezzo del lago di Nicaragua (oltretutto, lo spiego per chi non lo sappia, il lago ha, unico al mondo, dei poco simpatici e pericolosi abitanti, ma secondo me è una fama non meritata, e cioè “los tiburones”, ovvero gli squali e più precisamente “squali toro”). Il fatto che questi animali vivano in un lago è uno strano fenomeno naturalistico, a cui si associa quello geologico (da molti geologi ipotizzato), fenomeni unici al mondo visto che sembrano confermare la teoria di una possibile unione del lago de Nicaragua all’oceano Pacifico/Atlantico a livello sotterraneo. Per fortuna quella volta quei, per me, simpatici animali erano impegnati evidentemente in altre occupazioni più importanti che mangiar naufraghi. Arrivammo quindi, trainati dal barcone-rimorchiatore e quasi di notte, a Moyogalpa, uno dei due paesini di Omotepe. Sul molo a riceverci c’era tutto il paese, non sembravano preoccupati anzi c’era allegria, (evidentemente sapevano che, per quella volta, sembrava non fosse affogato nessuno) tutt’intorno tantissimi barchini che prendevano persone e tutto ciò che si poteva recuperare dal Juanita II (oramai in secca ad un centinaio di metri dal molo). Nonostante l’affanno, la paura, la stanchezza, vedere tutta quella gente che ci aspettava ansiosa di aiutare mi dette una sensazione di tranquillità, mi sentii fortemente vivo, forse più di prima, forse più che mai, mi sentii come a casa, come se quella gente fosse stata da sempre la mia famiglia. Ho sempre pensato che questa mia esperienza abbia un po’ cambiato la mia vita, abbia inserito nella mia coscienza la consapevolezza che alla fine non si è mai soli ne’ poveri, anche se lontani dodicimila km. da casa e senza un dollaro in tasca. Quello che avrei vissuto in quella meravigliosa isola, in quel meraviglioso Nicaragua, per me pezzetto di paradiso in terra e che all’epoca viveva in pienezza ed orgoglio la sua rivoluzione,, avrebbe lasciato in me qualcosa che ancora oggi, dopo vent’anni, mi emoziona….. tanto!
1 commento:
Bellissima storia, smebra di viverci dentro e si sente il bisogno di leggere la continuazione
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