venerdì 11 gennaio 2008

TECNOMARIO SUPERSTAR



Mario Scapece, detto TECNOMARIO SUPERSTAR, è il tuttofare più conosciuto di Squalliano paesino dell’hinterland (già incute paura eh sto termine?) napoletano. Dategli un giravite e lui girerà il mondo! Se gli date un punto d’appoggio poi non so che vi combina. Lui è uno di quei tipi che in casa fa tutto da solo. Non ha mai chiamato un idraulico, un elettricista e nemmeno un muratore. Lui crede che le Pagine Gialle siano una serie di polizieschi edita dalla Telecom. Gli si rompe un tubo? E mica si fa prendere dal panico! Apre la sua valigetta piena di aggeggi e in quattro e quattro otto ripara tutto l’impianto idraulico del quartiere. Gli si blocca la motocicletta? Niente panico. Grasso e chiavi inglesi e sistema tutto. Per lui nessun bullone è invincibile. Nessun meccanismo ha segreti. Nessun intrico di cavi elettrici è inaccessibile.


Mario conosce l’essenza di ogni ingranaggio, di ogni scatola nera, di ogni marchingegno creato dall’uomo. Sia ben chiaro: dall’uomo. Eh sì, Mario è un bravo ragazzo ma è un tantinello maschilista. Pensa che le donne debbano occuparsi solo di ricami e merletti e non possano capire niente di meccanica e roba simile. Egli crede che ciò sia semplicemente il frutto della composizione biologica del cervello. Gli uomini avrebbero un cervello a forma di motore di F430 spider con al centro un grande basamento contornato da pistoni efficientissimi legati ad un albero motore della più alta fattura. Le donne, per contro, avrebbero un cervelletto ricamato su una tela di seta cucita su un cervello più grande costituito da una borsa Prada taroccata. Non so se ci crede davvero, ma fatto sta che quello che dice è coerente con questa descrizione. Forse tutto è originato dalla sua infanzia passata quasi interamente coi nonni. Nonno Gino, falegname, non stava più nella pelle quando seppe che gli sarebbe nato un nipote maschio dopo ben diciannove nipoti femmina. Nonno Gino portava sempre il piccolo Mario nella sua bottega piena zeppa di attrezzi di ogni sorta. Mario poteva giocare con arnesi veri, mentre tutti gli altri bambini dovevano accontentarsi dei meno divertenti aggeggi plasticosi della Mattel. Non poche volte Mario tornava a casa con un labbro sanguinante, un occhio bendato o qualche dita in meno. Tanto che la mamma era solita inventariargliele sempre al suo ritorno dal lavoro. Tuttavia, Mario si divertiva come un matto e il nonno aveva trovato una seconda giovinezza. Nonna Carmela dal canto suo aveva messo in piedi una vera e propria scuola di cucito con le sue diciannove nipoti. La più brava era Carmelina, sorella di Mario, che riusciva a cucire anche ad occhi chiusi e con le mani legate. Mario era gelosissimo della sorella che veniva apprezzata molto di più per i suoi lavoretti. Carmelina, infatti, regalava spesso alla mamma fazzoletti decorati, tovaglie ricamate e lenzuola merlettate. Mario ci provava a competere, ma i suoi aggeggi sgangherati trovavano tutti destino nei cassonetti della spazzatura.


La sua prima “invenzione” fu la macchinetta automatica per il caffè. Era un congegno composto da un recipiente in cui si versava tutto il contenuto di una scatola di caffè da 250 grammi. Dall’altra parte c’erano due bottoni con su scritto “2” e “4” che andavano premuti a seconda di quante tazzine di caffè si volessero. La macchina prelevava automaticamente la quantità giusta di caffè e di acqua contenuta in un’altra scatoletta. Il risultato fu pessimo. Veniva fuori una sciacquatura di piatti che nemmeno un inglese di Manningtree avrebbe bevuto. Il “salvanonna” non ebbe riuscita migliore. Era una specie di collare che Mario fece indossare all’ignara nonnetta. Doveva servire per avvertire i parenti più stretti in caso di malore dell’anziana donna tramite SMS. Ma, caso volle che un difetto di fabbricazione facesse vibrare il collare con tutta la nonna ogni volta che questa si alzava, si sedeva o faceva un qualsiasi movimento brusco. Ci mancò poco che la vecchietta ci restasse secca. Allora Mario decise di mettersi a studiare seriamente. Dopo aver concluso la scuola serale per perito elettronico si iscrisse ad ingegneria meccanica. Dopo qualche lustro di fatiche, che quelle di Ercole a confronto furono passeggiate di salute, e qualche milioncino speso da CEPU riuscì a laurearsi col minimo dei voti. Lui dice sempre di essere un pratico e che i libri gli servono solo a sapere quelle poche cose che da solo non riesce ad intuire. Mi sono sempre chiesto come mai con una laurea in ingegneria e quella passione smodata per il costruire, il fabbricare, l’aggeggiare, il creare, il martellare, lo svitare, lo scartavetrare ecc. ecc. sia finito per fare il pasticcere. Ma quando ho visto le sue torte mezze storte o i suoi cornetti col buco a forma di cataclisma mi sono felicitato con l’umanità per lo scampato pericolo. Comunque, Mario continua come secondo lavoro a fare il tuttofare. Sul bigliettino da visita ha scritto
"Tecnomario di Mario Scapece – Ingegnere Pasticcere – Si eseguono lavori di idraulica, elettronica, impiantistica varia, falegnameria, ferramenteria e alta pasticceria".


Quasi tutte le famiglie del paese hanno usufruito dei servizi di Mario. Ricordo che mia zia lo chiamava spesso per farsi aggiustare l’antenna della televisione. Appena non si vedeva rete4 zia Filina, ammiratrice sfegatata di Emilio Fede, telefonava a Mario pregandolo di sistemarle repentinamente la faccenda. Mario si precipitava operoso con la sua valigetta piena di chincaglierie. Una volta mi trovai a casa di zia Filina mentre Mario era all’opera. Credo che impiegò un quarto d’ora per capire che il problema della televisione era che lo schermo era esploso per ragioni ignote. Io avanzai l’ipotesi che la causa potesse essere il lancio di oggetti a cui mia zia era dedita ogni qual volta apparisse in televisione una donnina poco vestita. Comprammo un televisore nuovo alla zia e la addestrammo a usare il telecomando per ogni evenienza. A casa mia, invece, Mario combinò un disastro apocalittico con l’impianto antennario. Il televisore era leggermente disturbato e Papà decise di dare una possibilità al buon Mario. Non l’avesse mai fatto. Se n’è pentito forse più del giorno in cui chiese alla prima moglie, poi fatta a fette, di sposarlo. Mario diede un’occhiata professionale al televisore, poi disse con tono enciclopedico “ho bisogno di operare sul luogo dell’antennamento ovvero, detto in termini non tecnici, ove l’antenna si loca”. Lo accompagnai sul terrazzo. Lavorò per quasi tre ore. Sudatissimo, scese a salutarci e a riferirci che era tutto sistemato. In effetti, la televisione funzionava a meraviglia … tranne per il fatto che rai2 non si vedeva più e canale5 si vedeva solo in bianco e nero. La sera, eravamo intenti a degustare il nostro brodino serale quando bussarono alla porta. Era la vecchina della porta di fronte che ci chiedeva se da noi si vedesse rai3. Era lunedì e lei non si perdeva mai una puntata dell’inquientantissimo “Chi l’ha visto?”. Siccome da noi rai3 si vedeva una meraviglia, come in ogni casa rossa, la vecchiaccia si autoinvitò a vedere il programma. Una volta tanto andai a letto a leggere un libro. Il giorno dopo ci chiamò l’amministratore chiedendoci se il nostro televisore avesse dei problemi. Mio padre attivava inconsciamente un tono lamentoso ogni volta che parlava con l’amministratore e gli relazionò dettagliatamente su tutti i difetti anche i più minuti del nostro televisore esortandolo a prendere, finalmente, adeguati provvedimenti … perché così non si può andare avanti! L’amministratore abituato a questa frase la prese come formula di commiato e cordialmente salutò. L’indomani fu convocata una assemblea condominiale straordinaria con ordine del giorno monosillabico: tv. Ogni condomino sviscerò i difetti del proprio impianto. La situazione più disperata era quella di don Saverio che appena si sintonizzava su radio Maria gli si accendeva la televisione sui canali satellitari porno. C’era Filippo il salumiere che invece aveva le immagini ribaltate; Santina la pazza che vedeva Mike Buongiorno coi boccoli verdi; ad Annunziata la sbattezzata le si erano fissate le immagini sulla messa della domenica; Gioacchino l’imbianchino non poteva più sintonizzarsi sul suo programma preferito, quello in cui Media Shopping reclamizza i rulli per dipingere senza sporcare. Quando si scoprì che la causa di tutto era stato il lavoro di Tecnomario i condomini chiesero i danni a mio padre, oltre a non rivolgergli più la parola giacché era ormai risaputo che il signor Scapece andava combinando un sacco di guai.


Il caro Mario durante la sua carriera di ingegnere pasticcione, come dice la gente, ne ha combinate davvero di cotte e di crude. Una tra quelle “cotte” che si ricorda in paese come l’avvenimento del secolo fu realizzata durante i festeggiamenti per la festa di San Michelazzo, protettore dei camorristi nonché patrono del paese. Il comitato organizzatore dei festeggiamenti esterni affidò l’incarico all’allora neolaureato ultratrentenne di occuparsi della sistemazione dell’impianto di illuminazione. La ditta fornitrice delle luci fu contattata dallo stesso Mario tramite il suo amico elettrauto Sasà o’morsetto (così chiamato sia per l’uso frequente dello strumento da parte del ragazzo che per il suo lo scarso sviluppo verticale). Mario diresse i lavori di installazione con risultati a dir poco spettacolari. Tanto per iniziare la scritta luminosa “Festa Patronale” era difettosa. Alcune lampadine rimaste spente lasciavano leggere un “Festa a nale” che risultava di cattivo gusto e quasi sacrilego. Le altre luminarie emanavano una luce tremolante tanto che i passanti si chiedevano se le luci fossero o meno volutamente intermittenti. Ma il disastro peggiore capitò durante la processione conclusiva dei festeggiamenti quando all’improvviso le lampadine presero a scoppiare ad una ad una come in un domino elettrico. Alcuni pali che reggevano le luminarie si spezzarono cadendo sui timorati e timorosi fedeli. Le fiaccole brandite dai devoti bruciarono i pali scatenando un terribile incendio che bruciò le preziose vesti settecentesche della statua del santo e quelle del sindaco, sempre in prima fila in questi eventi. Alcuni incolparono il sindaco stesso per aver ridotto i fondi per i festeggiamenti scatenando così le ire del santo patrono-boss.


Una volta presi un passaggio in moto da Mario. Lui è un fanatico di moto. Mi fece montare e mi iniziò a spiegare dettagliatamente tutti i pregi della sua fantastica CSK-250. Motore a 4 tempi, turbo-benzina, deflagratore calibrato, serbatoio in pelle di mulo afgano, cuscinetti zincati, pistoni pistolanti. Credo che mi disse anche quanti bulloni reggessero la sua moto, i nomi di ognuno di essi e le loro beghe familiari. Scesi dalla moto un po’ rincitrullito dalla lezione di meccanica e mi accomiatai con un gesto oscillante dell’avantreno … ops del braccio. Mario non riesce proprio a capire che i suoi discorsi così tecnici non solo non possono essere seguiti da tutti ma sono anche terribilmente noiosi. A me, per esempio, ogni volta che parlo con Mario mi si scatena un mal di testa incontenibile.


E’ impossibile passeggiare con Mario per più di due minuti senza incappare in qualcosa che non gli faccia iniziare un’interminabile disquisizione tecnica. Una volta eravamo al Parco della Cicerchia. Passeggiavamo immersi nella tranquillità del verde. Mi godevo attimi di silenzio, il vocio dei bambini, il volo casuale di stormi di uccelli, una leggera brezza, i riflessi di timidi raggi di sole sulle acque placide di un laghetto artificiale. Malauguratamente qualcosa attirò la sua attenzione nel laghetto. Si trattava di un’innocente vela guidata da una ragazza in muta. Io ero intento a godermi i sinuosi ondeggiamenti della ragazza che disegnava nell’acqua percorsi immaginari che seguivo ipnotizzato. Il romanticismo di quel quadro lento si infranse ben presto sotto il peso metallico della visione tecnica delle cose che ha Mario. Egli scruta le cose e ci penetra affondo. Le scompone immaginariamente e le esamina nella loro composizione materiale. Come se fosse un meccanico marxista, elimina ogni sovrastruttura mettendo a nudo la cruda realtà dell’esistente. Mi disse che quella ragazza aveva sbagliato la partenza. Il movimento per la partenza, cosiddetto della fisarmonica, doveva essere realizzato con una repentina flessione di 45 gradi del busto seguita immediatamente da una torsione in avanti inferta con un deciso colpo di reni. La biondina aveva sbagliato di almeno 10 gradi e la sua spinta era insufficiente a raggiungere una velocità congrua. La ragazza ignara dei commenti di Mario ondeggiava soavemente mentre io non riuscivo più a perdermi nella foschia della mia immaginazione che svaniva velocemente sotto lo sguardo clinico di Tecnomario. “La vela è del tipo a triangolo. E’ composta di vetroresina, materiale molto leggero e resistente allo stesso tempo. La tavola invece è abbastanza scadente. Trattasi di una banale tavola di resina adatta per principianti, ma non di certo per eseguire movimenti più complessi”. E’ incredibile di quante cose sia appassionato Mario. Ha mille passioni ma non ne esercita nessuna perché non ha i soldi sufficienti per farlo, a suo dire.


Un giorno ci trovammo a passare davanti una vetrina che esponeva telescopi di diversa grandezza. Vidi il suo sguardo illuminarsi. Si avvicinò alla vetrina con la bramosia di un bambino mentre scarta un regalo. “Sai ho una forte passione per l’astrologia”. E te pareva. Mi venne da pensare. Ma mi fece piacere notare che aveva detto di essere appassionato di astrologia e non di telescopi. Forse questa è la sua passione per qualcosa che non sia un aggeggio, pensai. Ben presto mi dovetti ricredere. Mario attaccò una lunga trattazione sulle caratteristiche tecniche di un telescopio, tanto che mi sembrò di parlare con un libretto di istruzioni.


“Devi sapere che la fondamentale caratteristica del telescopio è una maggiore capacità di raccolta della luce rispetto alla pupilla. Il telescopio è uno strumento che permette di amplificare il potere visivo aumentando la capacità di distinguere come separati due oggetti che abbiano una piccola separazione angolare. Esistono fondamentalmente due grandi famiglie di telescopi, a seconda che siano basati sulla rifrazione o sulla riflessione della luce. Nel primo caso vengono utilizzate delle lenti e si parla di telescopi rifrattori, nell'altro si usano degli specchi. Ovviamente esistono anche combinazioni delle due tipologie fondamentali, ovvero telescopi che sfruttano contemporaneamente sia la riflessione che la rifrazione e si dicono catadiottrici, rappresentati ad esempio dagli Schmidt, o dagli Schmidt-Cassegrain. L'elemento fondamentale e caratteristico di un telescopio è il suo obiettivo, che indica la capacità di raccolta della luce e di conseguenza le prestazioni ottiche che esso può raggiungere, anche in combinazione con altri elementi ottici quali gli oculari…”


Mi illustrò in modo particolareggiato la classificazione degli oculari in diotteri, pipotteri e chesoio. Mi illuminò sui materiali con cui vengono costruiti i tubi del telescopio. Mentre parlava io restavo in silenzio. Sempre più attonito e stordito mi chiedevo come facesse a non rendersi conto che a me non importasse un fico secco di sapere come è fatto un telescopio. Semmai mi interessava sapere le emozioni che si provano ad impugnarne uno scrutando il cielo stellato. La sensazione che si prova nel guardare da vicino una stella, una costellazione. Perdersi nel buio dell’infinito. Restare catturati da una flebile lucina proveniente da chissà quale galassia eternamente lontana.
Ieri Mario mi ha telefonato. Era alquanto deluso. Si era iscritto al concorso “tecnica, design, arte e talenti vari”, bandito dalla Regione per l’incentivazione dei sempre giovani talenti nostrani. Si era, ovviamente, iscritto alla sezione tecnica presentando la sua ultima invenzione: la macchina pela-arance. Durante la dimostrazione, però, qualcosa era andato storto. La macchina si è inceppata. L’arancia è rimasta metà incastrata nella macchina mentre l’altra metà usciva penzolante formando una specie di spirale. Fu squalificato seduta stante. Fato volle, però, che gli abbiano conferito il premio per la migliore opera di arte contemporanea. Sogh!



Br1

1 commento:

ceneriere ha detto...

Ma sì propio nù talent

E' forse la migliore delle cose che hai pubblicato qui sopra.
Diversamente dalle altre la trovo più serena, allegra e senza quella rabbia e quel senso di desiderio di rivolta che pervade tutti i tuoi scritti.

La vorrei far girare, che ne dici?

Complimenti.


Ma te lo sei letto Ebano??


Col.