
NOMI
Presidente “Cosa ne sapevi del 1° maggio?”
Bambino di 14 anni: “Era una bella festa”
Presidente: ”Hai visto cosa succede ad andare alle feste?”
Il mio nome è Castrenze Ricotta, sono un sopravvissuto a Portella della Ginestra.
Il mio nome è Anìma, finisco tra poco il liceo e una volta sono stata in una residenza universitaria della mia città. Era una sala studio e c’erano tante ragazze-ròbot della mia età, sole, dritte sulle loro sedie con un cono di luce che partiva dagli occhi e raggiungeva il rigo del libro che stavano inserendo nel loro cervello (operazione di input).
Erano ferme, serie, e comprese nel loro lavoro di inserimento di dati.
D’improvviso mi sono alzata in volo e ho danzato, sull’onda di una musica araba muovendo i fianchi e spogliandomi piano al ritmo lento e sensuale delle note del flauto. Cadevano veli sulle teste e sulle scrivanie.
Nessuna di loro ha fatto il minimo movimento. Semplicemente, con le matite in bocca, guardavano silenziose. Nessuno stupore nei loro occhi.
Mi chiamo Giovanni, sono il tasto nero del pianoforte, la nota troppo alta, il tono di basso.
Vivo in una bellissima casa verso Varcaturo, ho una macchina potente e decappottabile, una moto di grossa cilindrata, amici, piscina, una dona bella e giovanissima, vestiti e tanti soldi da spendere nei locali notturni e ai ristoranti.
Ogni tanto ricevo una telefonata. Allora chiamo gli altri tre, prendiamo due moto ed andiamo a fare il nostro lavoro. Abbiamo abiti neri e scarpe da ginnastica, caschi integrali e non chiediamo mai chi è e che fa l’obiettivo. Come gli va in questo periodo con la moglie, quante sono ancora le rate per riscattare la macchina nuova, per risolvere il mutuo e nemmeno vogliamo sapere che programmi ha per il sabato sera o quali le sue preoccupazioni più spicciole.
Non ci interessa.
Siamo disoccupati!
Arriviamo nell’ombra, scendiamo dagli scooter mentre gli altri sono ancora in sella; i motori accesi, i fari spenti. Silenziosi e bui raggiungiamo l’obiettivo.
Poi un lampo.
Il movimento è strano e l’espressione è sempre di stupore al primo sparo.
Poi una sequenza veloce e il corpo dell’obiettivo che si contorce, come in una danza che dirigiamo noi, col tono alto delle nostre pistole.
Poi il silenzio, il corpo che perde sangue come una fontana rotta e l’odore forte nell’aria.
I nostri stivali si sporcano di quell’impiastro ematico di colore rosso chiaro, quando ci avviciniamo all’obiettivo. Il corpo si muove frenetico e lo sguardo cerca aiuto e lo chiede a noi.
Chiudo sempre gli occhi quando da vicino sparo l’ultimo colpo.
Poi fuggiamo verso le moto. L’ombra ci porta via.
Più tardi, cambiatici ripassiamo come spettatori e un brivido mi torna nella schiena quando mi avvicino al capannello di gente che guarda curiosa i rilievi della Scientifica.
Mi sento forte, invincibile, onnipotente. So di aver fatto bene il mio lavoro e ho la sensazione che qualcuno sarà contento di me. Mi sento bene.
Meno di una settimana dopo sono alla concessionaria per la permuta con l‘ultimo modello, versione cabrio.
Sono Alice, una bambina. Ho il naso schiacciato sul vetro della Panda e guardo il mondo; Napoli. Sto tornando a casa dalla Cappella San Severo, il Paese delle Meraviglie.
Il mio nome non conta. Tutte le sere di primavera, apro il chiosco di taralli con il pepe nero a via Caracciolo, di fronte agli chalet. Mio marito più avanti ha le mani che sanno di limone e vende trippa. Ho un televisore piccolo a batterie con l’antenna retrattile. Il sabato sera vedo gli spettacoli di Rai Uno e mio marito le partite.
Fuori allo chalet, il motorino ultimo modello, verde metallizzato di mio figlio….
Ahh! Che soddisfazione!
“Dottò, vi faccio la solita busta e vi portate i taralli sopra alla barca. Ma quanto è bella stà muglier’ vosta”
“E t’agg’itt mille vote che nunn’è muglierema,e tua cchessta nun gli’hia manco verè e tu fai avverè ca nù capiscè e overo?!”
La domanda e retorica, poi prende i taralli e va via.
Giovanni il disoccupato, con la bionda spogliarellista del Lido 21 tutto vestito di bianco mentre lei è leopardata e abbondantemente esposta, passa coi taralli e la figona tra la gente sul Molo Luise, poi sale sulla sua barca e si mangna i taralli ‘nsogna e pepe di quella vecchia zoccolona che non si fa i fatti suoi.
Da un momento all’altro arriva la telefonata.
Io mi chiamo Giacomo. Ci ho messo tre anni per comprarla e altrettanti per ristrutturalra. Ho lavorato da solo ogni martedì (che ho il girono libero a scuola) e tutte le domeniche.
L’ho presa all’asta, sottraendola a un camorrista.
Adesso, dopo aver curato le mie rose, posso permettermi di spostare la sedia fuori al mio “monolocale” nel porto turistico della città balneare. Mi siedo col giornale che fa da filtro, e mi godo i rumori, le voci di richiamo, le musiche e gli odori di una domenica mediterranea, che ha sapore di Grecia.
Qualcuno si affaccia alla finestra e grida un nome di donna.
“Uè professò, buoggionno! Anche oggi qua? Più tardi vi mando a Nicolino per quel compito di matematica…”
“Vabbuò ma stasera, adesso vengono ll’amici. Comunque sempre a Vostri Comandi, Onn’Amà”
“Uh! Che dite? Preghiere…”
Mia moglie sta pippeando il ragù.
Domenica mattina, aprile.
Più tardi ci raggiungono amici dalla città e porteranno le pastarelle di Scaturchio.
Forse dovrei cambiare i sottovasi.
Un articolo mi assorbe, entro nel profondo della lettura e non sento e non vedo più niente.
Poi alzo gli occhi dal giornale. “Chi sono questi due vestiti di nero e coi caschi integrali e che
Un lampo
Neanche il mio nome conta, ma conta che sono il papà di Alice. Siamo rimasti soli, mia moglie se n’è andata per una malattia improvvisa. A volte, per farla divertire mi travesto; metto gli abiti di mia moglie e mi presento da Alice. Alice mi guarda, mi tocca e ride. Poi lo sguardo esce fuori sulla terrazza, va verso la barche di Mergellina e poi vola leggero, come una vela sopra il mare, verso Sorrento.
E’ piena di sole la mattina del primo maggio 1947, la guerra è alle nostre spalle e ci stiamo riorganizzando. Mamma prepara in cucina dalle cinque di stamattina (sono frittate e panini, poi torte per noi e per gli altri e le nostre paste siciliane). Papà si mette il vestito buono, quello leggero marrone, lascia la camicia aperta e gira il colletto sulla giacca, il fazzoletto bianco in tasca e tanta colonia.
Io sono già vestito e mi diverto a guardare. Guardare mi piace e quando c’è qualcosa di nuovo e di insolito mi blocco e cerco di assorbire ogni minimo dettaglio e ogni sfumatura di quel nuovo che sta capitando avanti a me.
Ci vengono a prendere altri contadini e tutti andiamo a fare la scampagnata del 1° maggio in un posto bellissimo.
Mi chiamo Tore e sono il luogotenente di Salvatore Giuliano. Sabato è arrivato tutto preso da un grande segreto. Mi ha detto che era fatta, che gente dell’America gli ha dato precise istruzioni. Non ha detto di più ma sono giorni che facciamo sopraluoghi sul Monte Cometa, sopra la piana della Inestra.
E’ il luogo ideale per un tiro a segno. Una valle verde e queste ginestre selvatiche fiorite di giallo che continuano nella campanule che escono spontanee sul prato alto...
Siamo lì da ore, appostati dietro le rupi bianche. Io attendo il segnale di Salvatore poi darò l’Inizio della mattanza.
Non mi piace sto lavoro ma nù teng’ alterntive. Disoccupato sono da troppi anni.
Anch’io salgo su quel carretto. Sulla via di Portella della Ginestra se ne uniscono a noi altri. Di bambini ce ne sono ancora pochi ma altri arriveranno. Ci sono invece chitarre,fisarmoniche e scacciapensieri, uomini vestiti a festa e donne allegre che si salutano e si danno la voce.
Arriviamo alla Chiana, lasciamo i carretti e trasportiamo i cesti. Ci sono cose buone; frutta, dolci, mandorle, salumi pane, ricotta, vino, sciroppi, aranciate e limonate fredde e blocchi di ghiaccio.
Il Monte Cometa e la Pizzuta sono splendenti per i raggi bianchi che si riflettono sulle rocce carsciche.
Da poco è finita la guerra e dopo aver pianto. tanto i nostri morti questo è uno dei primi giorni di felicità. Mi avvicino a mia mamma e lei mi accarezza mentre parla con una sua amica. Si dicono le ricette per la ricotta dei cannuoli. Alzo lo sguardo e vedo i suoi lineamenti distesi e i suoi occhi brillanti e lucidi di emozione.
Ho un brivido caldo che mi passa per la schiena e una sensazione di tepore e di benessere, come sotto ad una coperta tiepida.
Ha un vestito aderente e nero con dei disegni simmetrici bianchi Nella controluce si vede il pizzo della sottana e la piega perfetta, all’altezza del ginocchio, delle sue magnifiche gambe. Papà lo dice sempre che l’ha sposata per questo.
“Poco cervello e tante cosce” dice ridendo e sento la sua risata mentre si allontana ripetendo la nenia. Allora corro da lei e le abbraccio le gambe.
Mi allontano, vado a giocare con i miei amici.
Salvatore Giuliano fa il gesto. Prendo tutto il tempo che mi occorre, miro, scelgo, punto, poi alzo la mano. Siamo tanti, spariamo. La gente è sorpresa, poi grida, poi fugge. I cavalli al tiro impennano, la gente grida più forte, fugge ancora. Corrono tutti da una parte poi di lì arrivano altri spari, quindi tutti dall’altra. Sul prato rimangono corpi senza vita e macchie di rosso.
Sparo.
Spari. Persone che cadono come birilli e rimangono a terra in strane posizioni e circondate da aloni rossi. I cavalli impazziscono e mia mamma fugge con gli altri e grida il mio nome. L’unico pensiero. Devo andare. Ma lo stupore mi blocca. Assisto fermo allo spettacolo immenso di questa mattanza. Voglio coglierne il senso attraverso i particolari, gli odori, le pose buffe delle persone per terra, i cavalli impazziti, le grida di tutti, il mio nome nel vento e nella disperazione di lei, mio padre con la giacca buona sporca di sangue che non si muove da terrr
Quel bambino è lì immobile, un bersaglio facile. Quanto varrà un bambino per quelli della banda Giuliano? e per i Baroni latifondisti? E per gli Americani?
Lo so che non devo e proprio per questo punto.
Sono disoccupato.
Al cuore, alla fronte, al petto.
Sparo.
Mio padre a terra, buffo fagotto sporco di sangue e io che non riesco a muovere un passo e penso al suo vestito buono che è tutto rovinato e a come farà mamma a rammendarlo quando torneremo a casa.
Un lampo.
Poi nero. Silenzio.
E vento.
--------
Sono Luna, una ragazza torinese e studio il secondo dopoguerra. Dicono che lì giù in Sicilia dei mafiosi hanno sparato a braccianti agricoli in festa una bella mattina del 1° maggio 1947.
Sono Mario, faccio il meccanico, riparo motorini e di questa cosa non so niente.
Sono Alfonso studente intervistato. Perché dovrebbe colpirmi questa cosa, che ha di diverso dalle altre? E poi lì giù si uccidono tutti i giorni”
Sono Anna, la vedova di Giacomo. Francamente non me ne frega niente, penso alle rose e alla lezione di matematica sospesa di Nicolino e tanto mi basta.
Mi chiamo Giuseppe e la domenica mattina porto secchio, spugne e sapone dei piatti e mi lavo la 127. Devo ancora pagare 13 rate.
Sono Alice, mio padre fa il pagliaccio e mi fa ridere. Poi allungo lo sguardo verso il mare e cerco nel raggio unico di sole di ricordare perfettamente i lineamenti di mia mamma con indosso il vestito che porta papà. A volte appare attraverso il movimento delle tende nella brezza meridiana.
Il mio nome è Gelsomina, lavoravo come volontaria con gli anziani del mio quartiere prima di ritrovarmi bruciata in un’auto. Il mio nome è Annalisa, il mio è Attilio, sposato da quattro mesi.
Mi avrebbero chiamato Tommaso. Il mio nome è Antonino, partito il giorno dell’anno nuovo, il mio nome è Antonino,
Il mio nome non lo so… Janet
Col. Douglas Mortimer
1 commento:
apro il blog e leggo le storie mentre ascolto il cd sono al 12 brano e nello stesso tempo arrivo alla fine di Nomi, coincidenza?
Posta un commento