
“Distenditi, vuota la mente di tutto quello che la occupa, rilassa i muscoli, sciogli tutti i nodi. Respira profondamente. Senti il tuo respiro, seguilo, dentro le braccia, le mani, le gambe; senti come pulisce, porta via, risana. Immagina il tuo respiro che spazza via tutte le impurità. Lascia che ogni parte del tuo corpo sprofondi nel pavimento, lascia liberi tutti gli organi, immagina che i reni si adagino sul pavimento, fai si che la pelle sui fianchi si stacchi dalle ossa e nell’angolo interno dell’occhio lascia che sorga una profonda gioia. Lasciati andare. Sei disteso sulle ginocchia di Madre Terra. Resta lì, nello spazio dell’universo, senza fare nulla, senza pensare a nulla. Sciogli quel groppo che hai in gola per qualcosa che non sei riuscito a fare. Via, via, ammorbidiscilo. Sei felice anche se nessuno ti capisce. Sei tu che, con tutta la tua energia, lasci andare tutto ciò che ha preso posto nel tuo corpo, ma che non appartiene al tuo corpo. Via, via…. “
(Tiziano Terzani).
77
Stamatina il cielo è così grigio che devo accendere la luce.
Sarà perché è ancora presto, ma questa giornata non promette niente di buono, almeno dal punto di vista atmosferico. E’ un cattivo augurio, quasi quasi rimando…..
Sento i soliti rumori in casa, attutiti dai tappeti, dai parati, le tende. Ceramiche e il metallo dei cucchiaini, l’odore solito di caffè, latte e cera per i mobili. La polvere e il respiro notturno nella mia piccola stanza.
“Valerio vieni è pronta la colazione, altrimenti farai tardi”: Mia madre mi chiama…
Raggruppo i libri sulla scrivania, li stringo nella mia molla arancione. Sopra c’è scritto grande e con la Bic Vc e il mio nome..
Li raggiungo in tinello. E’ una camera senza finestre e con sole tre pareti. La quarta è stata tolta per unirla direttamente alla cucina.
Mica andrai con la vespa? Non vedi che cielo, scuro ci sarà una tempesta.
E se è così mi riparo sotto un ponte, in un negozio.
Torno in camera e rimango indeciso avanti all’armadio. Oggi incontro Monica e glielo chiedo. Voglio essere carino. Decido per la felpa rosso scuro con Snoopy sul tetto della sua cuccia, il casco, gli occhiali da aviatore e le orecchie al vento: Barone Rosso.
La indosso, metto la mia bella giacca a quadri ed esco.
Che cazzo di giornata… Quasi quasi rimando….. Già piove e io sarò sulla mia vespa special a inzupparmi nel traffico del rione. Ma tra dieci minuti salirà Monica. Sentirò le sue tette attraverso il cappotto aperto, il maglione. L’ombrello lo manterrà lei e continueremo in questa mattina senza colore e senza ossigeno dentro al traffico verso il liceo.
La mia amica: color terra di katmandù, cioè marrone ma con una punta di rosso, il sellino lungo per sembrare più grande e il motore preparato. Non per correre….no. Per non passare da coglione.
Arrivo al portone del suo palazzo, non la busso, mi aspettava. In ansia più di me. Niente ombrello.
Quant’è carina! Piccola, biondina, ben piantata e solida a terra, ma non grassa. Ha i lineamenti marcati e la faccia gentile; belle gambe non troppo lunghe ma sode e doppie, il sedere un po’ grande, le tette piuttosto piatte e quasi inesistenti.
Porta gli occhiali cerchiati d’oro e i suoi occhi neri da miope sono ancora più belli. Quando parla si avvicina molto e questa è la sua arma segreta di seduzione. Chissà se ne è consapevole. Ha sempre la fascetta che le passa per la fronte e le scende nella coda di capelli biondi, alla fine delle perline brillano tra i suoi ricci. Porta vestiti indiani lunghi, a volte dei jeans strettissimi che le disegnano il bel culo, la sua parte migliore.
Oggi ha il suo pantalone nero fasciato che mi fa impazzire, il maglione del padre e niente reggiseno.
La reazione è immediata. Scendo e faccio guidare lei. Mi metto dietro e aderisco il più possibile. E’ bravissima sulla vespa, e va come una pazza per farmi stringere di più.
La pioggia calda e i suoi nastrini mi sferzano la faccia.
Le passo le braccia sotto il cappotto sui fianchi, poi un poco più su con una mano. Mi ha detto la verità. Sento le sue costole sotto il maglione leggero, poi la mano piano risale verso un lieve e timido gonfiore. Libero. Mi piego e poggio la testa sulla sua spalla.
- Fermiamoci. Dobbiamo parlare di noi, ricordi? Me lo avevi chiesto.
- Ma così farai tardi, che hai alla prima ora?
- Ma che ti prende Valerio? Prima tante storie e tanti misteri, e adesso? Ma cosa vuoi da me? E’ una vita che mi accompagni a scuola poi a casa, alla palestra, alle riunioni di collettivo. Ormai nessuno mi viene più dietro. Tutti pensano che sono la tua ragazza. E allora? Che vuoi da me?
- Monica mettiamoci insieme. Dai Monica davvero, mattiamoci insieme.
Com’era facile! E’ la prima volta nei miei diciotto anni che pronuncio questa frase. Avevo una paura fottuta e adesso l’ ho detto e mi sento libero.
Ma quale libero. Mi sono fregato. L’ ho persa. Adesso la perdo, la perdo. Mi manda affanculo e non sentirò più il suo profumo esagerato che rimane nei corridoi, il suo accento del nord, le sue perline, le sue mutandine bianche nella trasparenza dei vestiti indiani…. Dio mio che ho
- Ma porca puttana SI!!!!!!
Mi cade il mondo addosso. Mi inarco e mi stringo fortissimo a lei. Un bacio sulla sua guancia da dietro
-Ho idea che ci sono due o tre cose che ti devo spiegare, Valerio.
Dario ci affianca col suo mezzo.
- Mica entrerete vero? C’è la riunione giù in centro, dobbiamo accompagnare il corteo dei metalmeccanici, contano su di noi. Ci vediamo fuori per bloccare i cancelli. Vi eravate scordati, Eh?
- Cazzo, cazzo cazzo. Porca puttana, cazzo!!!. Monica a certe cose ci tiene molto….
Fuori scuola il solito casino di quando forse non si entra.
Già stiamo litigando e ancora non siamo arrivati.
– Ma non capisci? Io ho la maturità e non posso saltare le interrogazioni!
- Tipico dell’ individualista, ma bada che io ci vado al corteo..
- Si ma non col mio mezzo. Dietro a te mi ci siedo solo io.
- Perché tu credi che nessuno è disposto a darmi un passaggio, ad accompagnarmi?
- Và! vaffanculo Monica, ti vengo a prendere oggi per il collettivo. Io entro. Ti amo, credo.
- Anch’io, ma ne sono certa. E non passare da me, vengo con Elena, col suo Ciao. Ciao.
Stronza! E guai se non lo fosse!!! Bacio, lungo e plateale, avanti al liceo, perché dovevano vedere tutti e che la smettessero di ronzare intorno ad una ragazza impegnata.
Il pomeriggio passa Bruno da me. Andiamo allo scasso del quartiere per comprare un telaio di moto. Ne approfittiamo per prenotare anche le sospensioni anteriori e posteriori, e le ruote. Ci manca solo il motore, sellino, manubrio e serbatoio e abbiamo il nostro mezzo.
Passiamo da Ricordi. Abbiamo i soldi e dobbiamo comprare l’ LP per il gruppo. Dario ha messo di più quindi ha diritto a mantenere il disco e al nome in evidenza sulla copertina. Scegliamo RED dei King Crimson. Gli piacerà sicuramente quel lungo brano strumentale…. Abita vicino a me, quindi andiamo a prendere la mia macchina e a casa sua.
Nuova 500 è scritto in corsivo, io col pennarello avevo aggiunto “era”. L’auto di mia madre, del ’67. Dieci anni portati benissimo e adesso una specie di puttana. Passa facilmente di mano in mano e viene affittata agli amici per un paio d’ore.
- Auguri, Vally, so di te e di Monica
Dice Dario quasi a sé stesso mentre legge competente i titoli.
- Si, ma ho idea che le cose non si mettano un granchè bene. Mi sono fidanzato con lei per scopare un pò, ma mi pare che al di là di qualche bacio il maglione non va via, la gonna non si alza e io mi sento peggio di prima-.
Dario e Bruno sono una specie di santoni nel gruppo. Anche perché un po’ più grandi, con i capelli lunghi come tutti noi, ma con i baffi spioventi, il fumo, quello sicuro, e contatti con gli universitari, gli operai e, sembra, anche in ambienti extraparlamentari.
Comunque sono sempre loro che parlano, propongono e portano avanti il collettivo.
Si guardano. Glielo diciamo? Ma si, dai di lui ci si può fidare.
- Senti Valerio, con Monica e con tutte le ragazze del gruppo non avrai molto di più di quello che già stai ottenendo ora. Parlano, accorciano le gonne, urlano ai cortei, poi non la danno, ma neanche te la fanno vedere. D’altra parte vengono da famiglie come le nostre, e hanno il terrore del sesso. Si mettono con noi perché appariamo trasgressivi ed aggressivi, ma, in fondo siamo impauriti come loro. Le trovi a volte nello stesso letto. Dormono insieme, dicono, con la benedizione delle famiglie.
Fai come noi. Noi ci fidanziamo ogni tanto e scopiamo con le compagne del consiglio di fabbrica o con le universitarie, quando ne abbiamo voglia. –
Abbiamo una stanzetta, un bagno, un letto e i nostri dischi. Siamo fino ad ora sei, sette. Dividiamo il fitto e ci passiamo le ragazze, le canne.. Loro ci stanno sempre perché ad ogni donna piace essere insegnante, la prima; godono fino alla libidine al pensiero che sei lì, inesperto e loro sacerdotesse del sesso che fanno quello che vogliono.
E noi fottiamo anche loro. Diciamo a tutte che è la prima volta. Pensaci. Vienici-.
-Non adesso Dario, comunque grazie. Adesso c’è Monica.
Si guardano.
Pomeriggio, collettivo. La sede è il garage della nostra compagna ricca e chiatta, per cui nessuno se la filava, ma lei ha messo il garage, la base ed è diventata un mito. Paola, e tutto quello che fa viene imitato. I cento adesivi sulla sua vespa bianca, le pezze al culo del jeans, i maglioni rubati al padre, la cravatta ad uso di cinghia ecc.
Nel locale c’ è lo stereo di Selezione, un piatto e ben sei manopole. Spaziale! Ognuno lì vicino si sentiva il re dei DJ. Cuscini, il solito poster di Ernesto “il Che”, l’immancabile arcobaleno alla parete, la lampada architetto gialla sul tavolo da campeggio a doghe, cestini, il piccolo frigo. Facevamo volantini per tutti e ognuno ci doveva un favore.
Oggi dobbiamo decidere sull’occupazione del biennio. Le nostre richieste: abolizione del latino, lettura dei quotidiani in classe, introduzione di un’ora di teatro la settimana, lezioni di religioni e fine del monopolio della religione di stato. Autointerrogazioni e autovoto!
Ciclostile, testo.
Il Collettivo studenti in lotta per il liceo collettivo Punto Rosso
“Chiama tutti gli studenti e i professori e i genitori alla lotta per l’occupazione del liceo dello stato padrone e servo delle potenti multinazionali.
Lottiamo dunque, per l’autogoverno del nostro Istituto affinché diventi veramente uno spazio aperto di aggregazione e di vita vera per tutte le generazioni che si vogliono confrontare ed esprimere tra loro!
Abbattiamo i potentati e le gerarchie, fermaimo lo strapotere dello stato demagogico e democristiano e prendiamoci la nostra scuola, e che sia davvero nostra!
In particolare.
Ore 17.00 incontro ai cancelli dell’istituto e entrata di forza abbattendo le ipocrite recinzioni che ci separano da una scuola che già è degli studenti
Entrata in scuola e assemblea permanente in palestra con lettura dei punti all’ordine del giorno.
Spazio libero a tutti i compagni per un dibattito formativo su: autogestione, autointerrogazioni ed autovoto .
Presìdi saranno predisposti ai cancelli ed un bivacco sarà organizzato nella scuola. Portatevi i sacchi a pelo. Abbasso il vicepreside, e
Hasta la victoria. Siempre!!!”
La sera ci ritroviamo con altri gruppi in un locale autogestito. Tavolacci, neon, panche. Tanta luce e poca pulizia. Pizze e panini. Beviamo birra e mangiamo qualcosa. Ma prima di tutto, giriamo tra i tavoli e incontriamo amici, scambiamo esperienze, impariamo la chitarra o il flauto e ascoltiamo gli altri suonare. Scambiamo spartiti.
Monica è vicina a me, col suo vestitino indiano e quel profumo, sempre un po’ esagerato. Scherziamo, ci provochiamo, ogni tanto un bacio, siamo abbracciati. Poi andiamo via, e nella 500, sotto casa sua allungo una mano sotto la sua gonna, tra le sue gambe. Si avvicina, ci baciamo, siamo stretti e io risalgo. Mi lascia fare ma non partecipa. E’ a disagio, scontenta e prova a trasformare quella esplorazione in un gesto d’amore, con i suoi baci, con le sue carezze e tante inutili parole d’amore. Le sue mani, quelle mi parlerebbero d’amore, non mi cercano piuttosto si aggrappano con la scusa di stringermi cercano un porto, una difesa.
Continuo, entro dentro, o almeno tento attraverso le calze, gli slip, ma lei improvvisamente stringe.
-Aspettiamo, Valerio, non ora.
–E quando, ma ti rendi conto, stiamo o non stiamo insieme?
-Ma non sono ancora pronta, mi vergogno, non mi trovo, qui in machina in mezzo alla strada, come - Come che? Sei una ragazza fidanzata, hai sedici anni, non possiedi una casa, che pensi stiano facendo le tue compagne eh? E dove, secondo te, e poi sai quante tue intime amiche già sono state in questa macchina? –
Piange. Mi abbraccia e piange. –Non ora, ti prego, se mi vuoi bene…-
Non volevo arrivare a questo ma la desidero, e lei lo deve accettare, per me è l’unico modo.
- Dobbiamo provarci Monica, e ci riusciremo, come tutti gli altri. Tutto sta a trovare la nostra strada, l’intimità che ci manca ora.
La bacio piano, poi con passione e la mano già scende….Mi ferma, sorride. E’ contenta. Un altro piccolo bacio. Ciao.
Chissà che staranno facendo Dario e Bruno! Dove saranno ora!
Nessuna del collettivo è mai entrata nella mia 500, se non per farsi accompagnare a casa.
Che fare? Torno a casa, mi fermo in salotto con mio padre, guardiamo un film. Gli vorrei chiedere: come hai fatto tu a diciotto anni? Quale espediente, che strategia, e se piangeva poi, che dicevi? Guardiamo il film, poi buonanotte. Ma con dolcezza.
Ore 17 cancello, scuola. Siamo già in tanti. I grandi, venuti da fuori ci incoraggiano e ci dirigono coi loro megafoni. L’alfetta blu chiaro col lampeggiatore ci spia e vorrebbe intimidirci.
La tenaglia forza il lucchetto, il vice (quel gran nazi) ci guarda in posa mussoliniana, parla al telefono e si tiene ben protetto nel suo ufficio. Entriamo. Mi fa specie il casino. Lo stesso della mattina alle 8.30. La stessa mandria che entra belante infelice ed allegra, parlando ad alta voce, per vincere l’angoscia delle cinque ore… Sottobraccio i sacchi a pelo, in mano i nostri volantini.
Il servizio d’ordine, esterno, ci guida nella palestra. Me l’ero immaginata diversa questa occupazione. Sembra quasi che non ci appartenga più. Tutto dei grandi.
Ci sono operai, universitari, addirittura un sindacalista. Il prof di filosofia. Mi avvicino a lui, ho bisogno di sentire che qualcosa in questa avventura è mio. Ha i giornali e mi sorride, pensa le stesse cose, ma è lontano. Per lui questo è lavoro; il suo particolarissimo concetto di scuola, ma sempre scuola, lavoro.
Gli altri, loro sono i padroni! Si muovono come a casa e noi a capannelli parliamo ad alta voce e ridiamo forte, appoggiati ai muri. Ci guardano come cose, le cellule, la massa, siamo gli studenti, i liceali, i contenitori vuoti che ora saranno riempiti di sogni (gli stessi validi per tutti), di ideali (unici ed universali) di bene, da contrapporre al male, di colore rosso…
Per il resto tutto come me lo aspettavo. Neon, palestra, pavimento nero, tavoli messi ai margini. Ragazzi che collaborano: Il “banchetto” del caffè. Quello dei panini, un improvvisato fornellino con la pentola per la pasta e fagioli, poi il banco della birra, lo stereo Selezione, le casse Montarbo, quelle dei concerti e il vinile, Inti-Illimani, Nueva Cancion Cilena 2 a volume altissimo. Scommetto che dopo verrà Contessa. Luca IVd dietro il giradischi, con un cuffia fantastica di essere un DJ.
Il palco, e tutti noi seduti per terra, appoggiati al compagno di dietro. Io sono sulla gonna di Monica sdraiato sulla sua morbidezza: ventre, pancia, tette. Mi carezza e mi pettina. Prova, Prova, SA SA SA, e parole in distorsione.
Nessuno le ascolta. Per noi è come un party, solo che non siamo a casa di qualcuno con le sedie alle pareti, lo stereo sul tavolo tondo, le patatine, i panini e le luci psichedeliche.
Siamo a scuola, ma ci comportiamo come ad una festa. Non li capiamo e così li snobbiamo. COMPAGNI, AMICI, FRATELLI, e tanti urli, minacce, intimidazioni per richiamare la nostra attenzione. Volumi altissimi, parole e musica che non riescono ad uscire dalla palestra, rimbombano sui vetri e ci ripiovono addosso. E noi che non capiamo un cazzo, ridiamo e ci divertiamo come pazzi.
Non nominare il nome di Dio,
Non nominarlo invano.
Con un coltello piantato nel fianco
Gridai la mia pena e il suo nome.
Ma forse era stanco, forse troppo occupato,
E non ascoltò il mio dolore.
Ma forse era stanco, forse troppo lontano,
Davvero lo nominai invano.
Già a questo siamo persi.
Sono stretto in un gruppo di ragazzi seduti sul pavimento di questa palestra, siamo sudati e felici. La musica porta l’estasi il fumo apre i cuori e la mente alle parole della canzone più bella: “Il testamento di Tito”.
Primavera ’77, occupazione del liceo. Le parole dovrebbero arrivare dritto al cuore, le prendiamo e le perdiamo, persi noi stessi nella confusione e nella delusione del nostro essere, dei nostri sogni confusi e romantici, delle nostre ragazze così emancipate e tanto impaurite, nella desolazione di sentirci grandi ma ancora così legati alle famiglie , alla scuola, smarriti negli schieramenti, bloccati dalle bandiere e dalle nostre ideologie che fanno passare per una strana censura ogni pensiero alla ricerca di una condivisione globale prima di diventare parola..
Naufragati tra la musica psichedelica e il rock romantico, i testi, gli spartiti, i collettivi e le riunioni, i pomeriggi nelle stanze pregne di fumi dolciastri di una canna passata di mano in mano, di bottiglia in bottiglia, mentre una chitarra prova timidi accordi di una canzone di protesta..
Abbiamo un’idea che ci unisce ma non sappiamo qual è.
Ma nel vedere quest’uomo che muore,
Madre! io ho provato dolore.
Nella pietà che non cede al rancore,
Madre! Ho trovato l’amore.
Inatteso arriva il silenzio. Guardiamo tutti il ragazzogrande che canta. I fidanzati si abbracciano alcuni si prendono per mano. Un brivido corre per tutte le nostre schiene.
Con la testa poggiata sulle tette di Monica seduta dietro me, mi addormento profondamente.
Col Douglas Mortimer